News e materiali2021-03-25T09:38:49+00:00

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Rinnovato il comitato per la beatificazione di Adele Bonolis

Presidente Fondazione As.Fra.Alessandro Pirola: rinnovato il comitato per la beatificazione di Adele Bonolis; su di lei un dottorato di ricerca e un convegno con l’Universita’ Cattolica. Il convegno introdotto da S.E. Mons. Mario Delpini, arcivescovo [...]

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Testimonianze

Ricordo di Adele Bonolis

Negli anni scolastici 1963/1964 e 1964/1965 ero studente ginnasiale al Liceo Ginnasio Berchet di Milano, nella sezione A, ed ho avuto come insegnante di religione la professoressa Adele Bonolis.

In questi anni recenti, a motivo del mio lavoro di medico incaricato dell’attività di accreditamento delle strutture sanitarie in Lombardia, sono venuto a conoscenza dell’esistenza di opere di assistenza e carità fondate da Adele Bonolis e della sua causa di beatificazione in corso.

Sento il desiderio di far conoscere i miei ricordi relativi ad Adele Bonolis, essenziali ma molto certi.

La Bonolis ci faceva prendere alcuni appunti delle sue lezioni su quello che chiamavamo “Quadernetto di Religione”. Il clima era ancora tranquillo nella scuola e durante tutte le lezioni in quegli anni che precedevano il famoso ’68.

Io seguivo con attenzione tutte le lezioni in classe e mi trovavo in posizione favorevole al secondo banco del quartiere di sinistra.

Ci sono due episodi particolari avvenuti durante le lezioni della Bonolis che mi sono rimasti impressi e voglio riferire.

Il primo è uno sguardo di rimprovero della professoressa che mi colpì dopo un mio momento di distrazione e di chiacchiera prolungato col compagno di banco. La Bonolis aveva interrotto la sua lezione aspettando di incontrare i miei occhi, senza dire nulla. Questo richiamo fu più autorevole di tante parole.

L’altro episodio è il racconto che la Bonolis ci fece durante una lezione di religione, per avvalorare la dottrina cattolica relativa all’esistenza degli angeli custodi.

La professoressa ci disse di essere stata testimone del tentativo di suicidio di un giovane, che voleva gettarsi nel vuoto da un edificio e che a seguito della preghiera rivolta da lei all’angelo custode del giovane, il gesto tragico non si era verificato.

Recentemente ho avuto modo di rivedere un mio compagno di classe di quegli anni, di cui avevo ed ho una grande stima e che ha realizzato negli anni successivi le sue doti di musicista e poeta con notevole successo.

Affrontando con questo mio compagno il tema dei ricordi del ginnasio e in particolare della professoressa Bonolis, egli ha detto che non solo ricordava la testimonianza della professoressa relativa agli angeli custodi, ma che questo racconto era stato fonte della sua vocazione di poeta.

A seguito di questi segni convergenti su di me provenienti della figura di Adele Bonolis, che la mia fede cristiana fa ritenere non casuali, ho voluto scrivere e far conoscere questo brevi annotazioni.

Fabrizio Treglia, 7 Novembre 2019

Adele nacque a Milano in Via Caminadella 27 (la casa è stata abbattuta dopo la guerra) quartogenita ed ultima della famiglia Bonolis, il 14 agosto 1909. Fu portata al Fonte Battesimale in S. Ambrogio il 26 settembre benché i genitori, molto sani moralmente, non fossero praticanti. Fu il primo grande impatto con la vita soprannaturale e con i doni straordinari a Lei elargiti da Dio che farà fruttificare lungo la sua vita. Le Suore Orsoline di Via Lanzone furono le educatrici spirituali per la prima Comunione, Comunione che sarà poi il nutrimento della sua anima quotidianamente anche a costo di sacrifici, grandi per la tenera età. Frequentò le scuole dell’obbligo con profitto: dotata di acuta intelligenza e di passione per lo studio riusciva sempre ad essere promossa benché fosse di salute gracile. Ancora adolescente si impiegò e continuò gli studi serali e domenicali. Si iscrisse nelle file della Gioventù Femminile di Azione Cattolica della Parrocchia di S. Ambrogio e diventò Presidente, guida molto stimata ed amata. Quante iniziative da Lei escogitate, quanti consigli per coltivare le sue Socie! Dopo l’incontro del 10 luglio 1932,  a Rovagnate, con la Scrivente, gli studi furono indirizzati a conseguire il diploma magistrale prima, la maturità classica poi ed infine, con tenacia, la laurea in lettere e filosofia presso l’Università  Cattolica di Milano il 20 novembre 1944. Lasciato l’impiego, si consacrò all’insegnamento di religione al Liceo Berchet di Milano e fu insegnante molto amata, stimata e seguita dai suoi scolari. Lasciata la Gioventù Femminile, passò ad operare nelle file delle Donne di Azione Cattolica (Centro Diocesano), nel CIF Provinciale e di Milano con slancio, generosità, sicurezza di dottrina e di azione. Dal  1946 al 1980 Adele donò la sua mente, le sue forze ai sofferenti nel corpo e nello spirito perché è la molla dell’amore che scatta in Lei, amore basato sulla nitida concezione di un Dio, Padre provvido, che ama tutti i suoi figli come sono e che si serve degli uni per gli altri. L’ amore è la chiave per interpretare la sua esistenza che fu fecondissima. Ella scelse di operare nel cuore dell’uomo anche del più piccolo, del più misero. Tutte le persone da Lei avvicinate si sono sentite attirate dal suo amore penetrante, intuitivo, comprensivo.  II desiderio più grande di ogni persona è quello di essere amata e Adele ha amato con il cuore di Cristo centinaia e centinaia di fratelli: “ i minimi”. Sorgono in questa prospettiva le quattro Opere alle quali possiamo solo accennare:

1) 1950 – COF – Casa Orientamento Femminile, con la Casa “Maria Assunta” ora a Montano pera accogliere donne dedite alla prostituzione e ridonare loro la gioia di una vita normale e Dignitosa.

2)   1953 – CODIC – con la Casa “Maria delle Grazie” ora a Cibrone di Nibionno che, in occasione di una amnistia, accoglie donne uscite dal Carcere desiderose di rifarsi una casa e seguire una casa e seguire una vita normale.

3) 1957 – As-Fra (Assistenza Fraterna) con la Casa S. Paolo di Vedano al Lambro per uomini  Provenienti dal Carcere o dai Manicomi Giudiziari a cui sono state aggiunte persone fragili psichicamente. Anche in questa Casa lo scopo è il reinserimento graduale dei soggetti nella  vita normale.

4)     1962 – Amicizia, Associazione a scopo formativo dei Soci che ha avuto in dono da Adele una Casa a Lenno “Villa Salus” aperta a donne provenienti dagli ex Manicomi. Lo scopo rimane quello di offrire un ambiente sereno per un recupero e un reinserimento nella vita sociale.

Adele ha speso bene tutta la sua esistenza in queste Opere, Serena, forte anche in mezzo ai guai, alle difficoltà, che non potevano mancare, si potrebbe definire la “testimone” della gioia. Così si esprime Ella: “II minimo positivo supera il massimo negativo: una goccia d’amore vale più di tutto il male”. Questo è ottimismo cristiano autentico! La malattia ghermì il suo fisico nel dicembre del 1976 (intervento chirurgico) ma non domò il suo animo: per tutto il corso della lunga malattia lavorò fino all’ultimo, anche fra la sofferenza fisica, con serenità. “In me c’è tanta nausea, ci sono tanti disturbi, ma c’è tanta gioia… che possa venire a Te con tanta Gioia… che possa venire a Te con tanta gioia! Guarire è bene, morire è l’ottimo”. E con questa persuasione chiude gli occhi il giorno di Santa Chiara (11 agosto 1980, ore 8) per riaprirli nella Casa del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo da dove manda a noi il suo valido appoggio che ci sostiene nel nostro faticoso operare.

Giuseppina Achilli, Amica di Adele, BREVI NOTE BIOGRAFICHE DI ADELE BONOLIS

Per Gesù l’ora della morte è anche l’ora della sua glorificazione ( cfr. Gv 12). . E’ questa la certezza che portiamo nel cuore celebrando la liturgia di suffragio e del commiato cristiano per la carissima Adele Bonolis, giunta all’incontro gioioso con Dio dopo una vita spesa nella testimonianza coerente della fede, della carità verso i più poveri, dell’amicizia nella comunità cristiana e infine della sofferenza lunga e dolorosa, offerta in unione con quella di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa. Siamo qui a condividere un’ora di dolore per il distacco terreno da una persona amata e stimata, e di speranza grande perché sappiamo che la nostra preghiera e il nostro affetto le possono affrettare il momento della gioia piena nella comunione senza fine con il suo Signore. Tre domande sorgono spontanee nel nostro cuore in questo momento.

Chi fu Adele Bonolis?  Rispondiamo con la Parola di Dio: “II Regno dei cieli è simile a un granello di senape che un uomo prese e gettò nel suo orto. E crebbe e divenne albero e gli uccelli vennero a posarsi sui suoi rami “ (Lc 13, 18-19). La parabola parla di un piccolo inizio e di un risultato grande e sorprendente: un albero che apre i suoi rami e dà accoglienza agli uccelli, segno di coloro che non hanno stabilità  e sicurezza, ma pur abbisognano di un luogo dove sostare. Avvicinando Adele Bonolis l’impressione era quella di chi trovava in lei un punto di appoggio, un luogo di rifugio, una speranza per procedere nel cammino. Così fu per i suoi poveri, per le sue amiche e collaboratrici, per l’apostolato diocesano di A.C. e, da noi in Parrocchia, per il Consiglio Pastorale, l’Azione Cattolica, il Movimento Terza Età, la Commissione Caritas.  Abbiamo il dovere di esserne ammirati e di coltivare nel cuore tanta riconoscenza per un dono così grande speso con inesausta generosità.

Quale fu il suo segreto? E’ ancora il Signore che parla: “Ve l’assicuro: se avrete fede  pari a un gemello di senape, potrebbe dire a questo monte: Spostati da qui a là e si sposterebbe. Nulla vi sarebbe impossibile” (Mt 17, 20). Ciò che colpiva nella vita di Adele Bonolis era la piena fiducia in Dio e nella sua azione, e l’abbandono che ella sapeva esprimere all’impulso della grazia. Una sua cara e stretta collaboratrice mi diceva che, nella sua lunga esperienza, Adele si era sempre preoccupata di comportarsi come la vela di una barca che cerca il soffio del vento e da esso si lascia condurre.  Così ella si poneva in ascolto dello Spirito Santo, sua vera guida nelle sue scelte e nelle sue opere. Ciò non le impediva certamente di porre a servizio del disegno di Dio, in una collaborazione intelligente e generosa, le sue doti di mente, di cuore, di volontà, di vita cristiana. Così la sua fede, profonda e sicura, fioriva in una carità attenta e  fattiva verso i più bisognosi e dava origine alle sue diverse opere.

E, ora, quali sono le prospettive, dopo la sua morte? “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” (Gv 12, 23-28).  E’ la rivelazione del mistero di Cristo. Sacrificandosi per noi sulla Croce, realizza la nostra salvezza; spendendo la sua vita, ne suscita altre all’infinito; accettando la più grande ignominia, prepara una gloria senza fine. Così è per il discepolo di Cristo, nostra vita, nostra morte, nostra risurrezione. La scomparsa terrena di Adele Bonolis non è la fine di tutto, ma passaggio (Pasqua) verso una nuova condizione di vita presso Dio; da essa verrà protezione, aiuto, incremento per le iniziative di bene in atto e future. E la morte sua sarà appello a più viva responsabilità per tutti colori che generosamente le furono vicini nella sua opera di carità  e invito e richiamo a nuove collaborazioni.

Ricordiamo allora Adele Bonolis così:

– un segno del Regno di Dio: piccolo, ma capace di tanto amore e accoglienza;

– una donna di fede, abbandonata al suo Dio, docile al suo disegno, misteriosa in certe scelte, capace di grandi cose;

–  una creatura interamente votata alla sua missione di carità e di amore fattivo per gli altri, che certamente continuerà  dal Paradiso.

E ora? Per noi il cammino continua tra molti problemi e difficoltà, con la protezione dei nostri morti e con una grande certezza l’Amore di Dio non muore, l’Amore di Dio è più forte.  Lo ricordino sempre, in comunione di speranza:

–   la comunità parrocchiale di S.Ambrogio

–  le amiche e collaboratrici di Adele Bonolis

–  la carissima Giuseppina Achilli, amica e sorella, collaboratrice instancabile ed ora continuatrice di

Una grande missione.

Mons. Libero Tresoldi, Parroco di S. Ambrogio Milano,, OMELIA IN MORTE DI ADELE

Ho cercato nel mio archivio qualche scritto della Dottoressa Bonolis ma non l’ho trovato. Mi rincresce! Aver una sua parola scritta di suo pugno sarebbe stato come aver qualcosa di vivo di Lei. In compenso ho trovato  tre sue foto. Le ho qui davanti a me… sembra proprio che mi guardi. E’ il suo volto umano che noi conosciamo: queste foto me lo fanno rivedere. La nostra Adele sembra avere uno sguardo severo, si direbbe lo sguardo di una mamma che non concede nulla ai propri figli, se non ciò che è per il loro vero bene. Delle poche cose cose che mi parlano di Lei, ho trovato anche qualche foto delle case di Vedano, di Lenno e di Lucinasco e e qualche bollettino “La voce delle Case”. Guarda, guarda; non ci avevo pensato prima, ma in fondo anche queste foto delle Case e questi bollettini sono una foto di Lei perché mi fanno conoscere il volto della sua anima. Non è forse vero, infatti, che le Case portano impressa e vivente l’immagine della sua fede, della sua tenacia, della sua operosità pratica, della sua tenacia, della sua operosità pratica, della sua sensibilità umana e della sua attenzione materna per tutto ciò che è povertà, che è rifiuto e miseria, che è rifiuto e miseria, che è sfruttamento ed abbandono?  Sotto questo aspetto mi pare che Adele abbia tanto in comune con l’Abbè Pierre che dagli stracci ha ridato vita a tanti stracci umani… Nei bollettini “La voce delle Case” leggo in prima pagina alcuni suoi pensieri spirituali: “Dio è sempre nella nostra vita: è una presenza positiva e di Amore. Occorre scoprire questa presenza positiva e di Amore. Occorre scoprire questa presenza… Credere che Dio si interessi di tutte le realtà, che non si lasci sfuggire niente, che tutti e tutto siano alla Sua presenza, che di tutto voglia solo il bene, ci esorta a fare buon uso anche delle più piccole cose che fanno parte della nostra vita”. Queste parole mi fanno scoprire il mondo della sua interiorità, della sua intimità con Dio. Ed è in fondo il primo mondo su cui Dio ha costruito nella vita di Adele fin da quando Adele era una ragazzina. Ed è su queste fondamenta che poi si sono edificate le Case. Questa interiorità di Adele è per tutti noi un richiamo a ricordarci che Adele era una contemplativa che viveva non in un monastero di clausura ma nel mondo: in mezzo alla gente e nello stesso tempo immersa in Dio, occupata a risolvere i problemi pratici della vita e continuamente occupata nella sua intimità con Dio. Era questa sua comunione con Dio la sorgente delle sue intuizioni, delle sue ispirazioni e delle sue realizzazioni. Era questo suo vivere con Dio l’humus dal quale nascevano e si sviluppavano le sue Opere. Era da questo suo amore per Iddio che irradiava una attrattiva per la sua persona e per la sua attività, quell’attrattiva che ha deciso molti di noi a stabilire con Lei un rapporto di feconda amicizia. E’ questo suo mondo interiore che si richiama che ad Adele non interessava il sociale per il sociale, ma il sociale che poteva trasmettere questa sua comunione con Dio agli altri, che poteva far sentire a tutti, ma soprattutto ai più poveri, l’amore del Padre.  Questo volto di Adele, il volto della sua anima è bellissimo… e ringraziamo Dio che ce lo ha fatto conoscere… Visto il suo volto umano e visto quello della sua anima mi chiedo: ma come sarà il volto di Adele di oggi, il volto che Lei ha nella sua visione beatifica? II volto di Adele in Paradiso? Oh, certo, questo suo volto lo vedremo nel suo splendore solo quando ci incontreremo con Lei in Paradiso. Ma dobbiamo attendere fino a quel momento oppure, già sin d’ora, possiamo cogliere qualche riflesso della luce che la investe nella visione beatifica di Dio? Proprio pochi giorni fa sono stato a trovare Mons. Fischer, l’anziano parroco della Cattedrale di Strasburgo che le amiche della Amicizia hanno conosciuto quando vennero nell’agosto 1972 a Strasburgo. Oggi Mons. Fischer è un vegliardo di 86 anni che si sta spegnendo giorno per giorno nelle braccia della Madonna. Mi sono confessato e, molto a stento, a voce bassa e malferma, mi ha fatto un dono, il dono del suo testamento spirituale, dicendomi queste parole: “II faut chercher le visage de Dieu dans la Prière”. Questo dono sento di doverlo mettere in comune con voi: “Dobbiamo cercare il volto di Dio nella preghiera”. Ho sentito subito che non erano sue parole ma erano parole che il Signore mi rivolgeva, quasi mi dicesse: “Vuoi vedere il mio volto? Prega!”. Se possiamo scoprire il volto di Dio nella preghiera, nella preghiera possiamo scoprire anche il volto di quelle anime che vivono in comunione con Dio nella sua gloria? Dio ci farà il dono di vedere qualche riflesso della bellezza di Adele beata? Io credo di sì, credo non solo che sia possibile, ma che Dio stesso lo voglia per infondere in noi un nuovo entusiasmo spirituale, una sete più forte di Paradiso, da irradiare poi attorno a noi ed in particolare nelle stesse Opere di Adele… Per arrivare a questa visione di Adele partiamo da un punto preciso: pregare! Nel dire “pregare” sia ben chiaro che non ho nessuna intenzione di riferirmi a qualche preghiera da aggiungere alle preghiere che già ogni giorno diciamo. No! Per preghiera intendo la preghiera di Adele, ossia l’avere un cuore continuamente rivolto a Dio, un cuore che ha solo una preoccupazione: fare contento Dio. Un cuore dunque  che ama Dio. Un cuore che è continuamente desideroso di trasformare tutti i momenti della giornata in un continuo atto di amore per Iddio. Un cuore che, quando si accorge di aver vissuto dei momenti della giornata non in questo atteggiamento di amore, ricomincia subito ad amare. Dico di più ancora; poiché nella nostra vita ci sono stati dei momenti e forse dei periodi in cui abbiamo vissuto nell’indifferenza o addirittura lontani da Dio, un cuore che sente il bisogno di offrire anche quei momenti op quei periodi passati perché tutto sia di Dio… chiedendo a Dio di colmare quei terribili vuoti della sua grazia divina. Un cuore che è così pieno di Dio, ha una grande sete, la sete di silenzio e di adorazione ed è un cuore che sa strappare alla propria giornata, anche se piena di occupazioni, momenti, i più lunghi possibili, di solitudine, per ascoltare e parlare con Lui, il Signore, con Lei, nostra Madre Maria, con i nostri cari, con la nostra Adele. Un cuore così  ci permette sicuramente di entrare in relazione vivente con Adele beata, dandoci una conoscenza della sua attuale bellezza, che non è né una conoscenza fisica, né una conoscenza intellettuale, ma è una vita che entra nella nostra anima facendoci sempre più somiglianti a Lei. Lei, ora che vede Iddio, è innamorata della Bellezza di Dio; ebbene, lei vuol partecipanti questo innamoriamo della bellezza di Dio”. Lei, che è totalmente immersa nell’amore di Dio, vuole aiutarci perché non ci sia più nulla di nostro, anche il più piccolo pensiero, che non sia immerso nell’amore di Dio. e il volto fisico di Adele resta stampato nelle nostre foto, se il volto dell’anima di Adele resta impresso nelle sue Case e nei suoi scritti, il volto di Adele beata dobbiamo dunque contemplarlo nel nostro cuore: … è il volto della sua eternità, … è il volto che lei, Madre, vuole donarci.

Don Pietro Marchetti, Missione cattolica a Strasburgo (Fr), IL VOLTO DI ADELE

So, di Adele Bonolis, molto meno di quanto vorrei per poter esprimere, con maggiore concretezza e incisività, che cosa della sua maniera di essere la faceva creatura d’eccezione. La conoscevo per averla sentita molte volte – nell’arco di oltre un ventennio – in convegni diversi, a Milano, a Gazzada e, soprattutto a Monza, presso il gruppo che abitualmente frequento. II fascino discreto della sua personalità – forte e gentile insieme, granitica nelle sue certezze e al tempo  stesso rispettosa della sovrana libertà degli altri – mi ha conquistata sin dal primo incontro. Adele Bonolis parlava con dolcezza: il suo linguaggio semplice, accessibile a tutte le culture, penetrava gli animi. Vado con la memoria  a tante sue conversazioni sui temi più diversi: dolore, amicizia, carità, bellezza, impegno e speranza visti cristianamente, sono soltanto alcuni dei numerosissimi argomenti magistralmente trattati da Adele Bonolis, ed ogni sua parola aveva il calore di una convinzione profonda; si sentiva sì, frutto di studio (Adele Bonolis possedeva una profonda cultura umanistica e teologica), ma – soprattutto – irradiazione di vita vissuta. Per questo, io credo, ogni suo discorso, direttamente o indirettamente era stimolo al cimento, richiamo imperioso alle regioni irrinunciabili della fraternità. Adele Bonolis parlava volentieri, con competenza, di tutto, ma parlava soprattutto con amore appassionato delle sue opere, degli ospiti delle sue “case”; ex detenuti, donne che volevano emergere dalla miseria della prostituzione, creature di dolore alle quali è negata la luce dell’intelligenza; una coralità di pena a cui Adele Bonolis ha donato tutta la sua esistenza. Ogni creatura – diceva – va accolta com’è: e accolta vuol dire amata. E quanto Adele Bonolis abbia amato questi “ fratelli più piccoli “ traduceva da tutto il suo essere. Per loro, dopo aver aperto diverse “case” superando difficoltà inimmaginabili, ha faticato, ha lottato; con loro ha “parlato” rinfrancando le pene di molti, per loro, soprattutto, ha pregato. Senza di lei (uso qui una similitudine di G. Torelli) il vivere di queste creature altro non sarebbe stato, forse, che “una riga nel buio”. Tante anime che grondavano dolore sono debitrici ad Adele Bonolis, alla sua fede, al suo coraggio, della gioia che può dare il riaccendersi di una speranza. La fede di Adele Bonolis era la salda dei Santi. Le difficoltà più impellenti, i problemi più drammatici (e si immaginino veramente drammatici e molteplici nella difficile convivenza delle sue “case”) venivano da lei risolti con un familiare, fiducioso colloquio con Dio. Ai suoi collaboratori, preoccupati talvolta da impegni economici imminenti, soleva dire: “Dillo al Signore, vedrai che Lui ci penserà”. E le sovvenzioni regolarmente arrivavano, imprevedibili e puntuali. Raccontava lei stessa queste cose, con semplicità estrema e con fede assoluta: nessun dubbio, mai, da parte sua, sull’intervento di Dio, al momento opportuno, nelle vicende che tanto coraggiosamente andava affrontando.  Donna nel significato più squisito del termine, Adele Bonolis possedeva la delicata sensibilità delle anime eccelse: il suo sguardo penetrante leggeva nelle anime. Venne una volta a Monza – una delle tante – ed io altro non fui in quell’occasione che una delle 60 presenze in platea. Avevo l’animo smarrito, schiaffeggiato da un grande dolore, che tuttavia non volevo manifestare. Non lo feci infatti con nessuno e nessuno s’accorse di nulla. Così, almeno, in quel pomeriggio di domenica, io credetti. Ma, incontrata Adele Bonolis alcuni giorni dopo alla Casa S. Paolo di Vedano per un’intesa di lavoro, dovetti ricredermi: lei aveva capito. Alla storia degli uomini Adele Bonolis ha portato un contributo stupendo: di fede, di serenità, di amore. Poi si è congedata, in silenzio. A me, a tutti noi, restano i suoi insegnamenti. Mi riesce difficile pregare per lei, che penso nella luce di Dio (me lo impongo, per dovere cristiano): più spontaneo mi è  pregare lei che dal cielo continui a voler bene a tutti noi, che ancora seguiamo il correre del tempo col nostro fardello di limiti e di speranze, e ringraziare Dio per averla incontrata sul mio cammino.

Renata Marchese, “Gruppo Signorine” di Monza, ADELE BONOLIS: CREATURA D’ECCEZIONE

Una apostola moderna che tramutava la fede un azione. Non si può passare sotto silenzio la morte di Adele Bonolis, avvenuta l’11 agosto 1980, perché si tratta di una cara amica, conosciuta da molti di noi, ma soprattutto perché in lei si illumina una figura femminile che onora la Milano cattolica, una tempra di apostola e di fondatrice che può stare alla pari con le figure più note del nostro secolo. Conoscerla ed avere la sua amicizia è stato un dono che arricchiva lo spirito e metteva in conflitto i vari egoismi coi quali proteggevamo la quiete della nostra coscienza. In lei era ammirevole la personalità, lo stile di vita fatto di fede intrepida: colpiva la lucidità di visione delle cose sorretta da una serenità che sapeva mantenere anche nei momenti drammatici, piuttosto frequenti, dato il tipo di persone che avvicinava. C’era in lei una originalità di interpretazione degli avvenimenti e dei testi che capovolgeva le visioni tradizionali; insieme a una rara capacità di dialogo sapeva operare con pazienza infinita nei rapporti personali con i difficili soggetti affidati alle sue cure. Emanava da lei una contenuta autorevolezza, che incuteva rispetto anche ai più riottosi; la sua presenza bastava da sola a mantenere la calma anche nei momenti più drammatici. La sua esistenza ed il suo operare erano sorretti della forza della sua spiritualità autenticamente cristiana, arricchita fin dall’età giovanile dal quotidiano incontro con Cristo nell’Eucarestia e dalla meditazione del suo messaggio di amore. Questa era la ricchezza che le permetteva di dedicarsi con un paziente e delicato lavoro di ricostruzione umana, spirituale e sociale, alle prostitute, ai liberati dal carcere e ai dimessi dagli istituti psichiatrici; ai quali non offriva parole, ma un aiuto concreto per sollevarli da una condizione di degradazione che li poneva ai margini della società. Per loro nel corso degli anni aveva fatto sorgere case dove potevano essere accolti, ospitati, aiutati. Fu sempre incoraggiata dall’autorità religiosa e nella ricerca dei mezzi economici, indispensabili alla realizzazione delle sue opere, fu sostenuta, a volte quasi miracolosamente, dalla generosità dei donatori. Ma l’aiuto fondamentale, fin dai difficili inizi, le veniva ad ogni ora da Giuseppina Achilli con la quale condivideva l’intrepida fede e l’ardente carità, con lei formò una coppia di amiche sempre presente in tutte le iniziative di assistenti di cultura, di recupero sociale, di spiritualità: uguali e diverse nello stesso tempo, l’una completava l’altra. La personalità di Adele Bonolis prese vigore fin dalla gioventù nella attività svolta nell’Azione Cattolica e fu proprio col sostegno morale e con l’auto economico dell’Azione Cattolica Milanese che prese l’avvio la sua prima opera di assistenza. Merlin per l’abolizione delle case di prostituzione, Adele Bonolis propose di creare un’opera che aiutasse le donne che uscivano dalle case chiuse ad abbandonare la loro vita di degradazione e a inserirsi, rinnovate, nel tessuto sociale. Sorse così la Casa di orientamento sociale (COF) come istituzione privata finalizzata al recupero spirituale morale e sociale delle prostitute, secondo il metodo ideato dalla stessa Bonolis, incentrato sulla libertà, sulla fiducia e sull’autogoverno. Tale metodo poneva l’istituzione all’avanguardia in Italia, fra quante si proponevano lo stesso fine. Oggi la COF ha una grande casa di accoglienza in una bella villa a Lucinasco di Montano dove nel corso degli anni sono state assistite centinaia di donne, con molti dei loro bambini. I risultati sono ottenuti, caso per caso, con una assistenza personale che ha permesso di ricostruire centinaia di famiglie, di crearne delle nuove, di riconciliare le giovani con i genitori, di offrire nuove possibilità di lavoro e di ridare ad ogni donna assistita una nuova fiducia nella vita. L’incrollabile fede nell’aiuto della Provvidenza e nella possibilità della persona umana di redimersi dalle situazioni più degradanti ha portato Adele Bonolis a intraprendere nuove e svariate attività assieme alle anime apostoliche che le si affiancavano e alle quali affidava la conduzione pratica delle sue opere. Sorse così la casa di Lenno per le dimesse dagli istituti psichiatrici e la casa di Cibrone per le ex carcerate. Ultima la casa di Vedano al Lambro (ASFRA) che offre lavoro, assistenza e ospitalità agli ex carcerati, uomini di ogni età, che, all’uscita dalle case di pena si trovano senza mezzi di sostentamento, rifiutati dalle famiglie e tenuti in sospetto dalla società. Quest’ultima opera è nata l’incoraggiamento dell’allora Card. Montini, che la ricordò anche dopo l’assunzione al sommo pontificato e l’aiutò attraverso il segretario Mons. Macchi. Paolo VI circondò sempre di stima e di affetto le due inseparabili Bonolis-Achilli e non lasciò mai mancare loro un riconoscimento anche pubblico. II coraggio e l’instancabile attività di Adele Bonolis riscossero la stima e il rispetto delle autorità civili che riconobbero i suoi meriti con segnalazioni e medaglie dal Comune alla Provincia, al ministero di Grazia e giustizia e per ben due volte l’assegnazione del premio della bontà nella notte di Natale.  Adele accoglieva tutto con imperturbabile serenità, convinta che il riconoscimento andava agli ideali di fraternità da lei incarnati e non alla sua persona.  Venne poi la lunga, dolorosa malattia, che la affinò nella sofferenza e la preparò a quello che lei considerava il “dies natalis”. Ora riposa nel cimitero di Montano in attesa della resurrezione. Ci ha lasciato con un ricordo che rimarrà vivo non soltanto in chi da lei è stato salvato e beneficato, ma in tutti coloro che l’hanno conosciuta e sono stati arricchiti dalla fecondità del suo esempio di fede e di amore vero per i fratelli. II modo migliore per ricordarla è quello di aiutare le sue opere a continuare il loro compito.

Paola Rognomi, Ex Presidente Diocesana A.C Donna, UNA DONNA CORAGGIOSA

Sono stato collaboratore di Adele Bonolis fin da quando nel ’50 si posero le basi per la fondazione della Casa Orientamento Femminile (C.O.F.) ed ho continuato ad esserlo fino alla sua  morte reggendo prima la vice-presidenza e poi la presidenza dell’Ente. Un trentennio durante il quale ho potuto non solo seguire la sua attività, conoscere la sua spiritualità, apprezzare le sue doti umane che le consentivano realizzazioni impensabili e recuperi psicologici e morali sorprendenti; ma ho  avuto anche la ventura di essere oggetto della sua affettuosa amicizia e dell’arricchimento spirituale che non mancava mai di arrivare a chi avvicinava Adele Bonolis. Ho quindi i titoli per parlare di lei; altre persone che hanno vissuto e collaborato più intimamente con lei lo hanno fatto però già ampiamente, disegnando, con amore, la sua figura di animatrice, di insegnante, di psicologa, di amica, di credente, di maestra di vita. Penso quindi di dire solo di un’esperienza che è stata soprattutto mia nell’ultima fase della sua vita; quella del medico con la sua paziente. Sul piano strettamente professionale devo essere grato ad Adele Bonolis di tre suoi atteggiamenti che mi sembra illuminino il suo carattere e la sua umanità. In primo luogo  la completa libertà di dialogo; la verità, a cui ogni malato ha diritto, ho potuto  esporla e discuterla con lei in un’atmosfera di fiducia e di serenità come ad un medico raramente avviene specie quando il male è, a scadenza più o meno lunga, mortale. In secondo luogo la scrupolosa attuazione delle prescrizioni ricevute sia da me che dai colleghi specialisti a cui periodicamente la affidavo, per ogni dubbio od incertezza che, nel corso di cure impegnative sempre si presentano, non ha mai mancato di sentire e di attenersi al mio parere. In fine, nonostante la sua ricchezza spirituale e la sua fede di essere non solo assistita ma permeata dallo Spirito di Gesù che le dava conforto e fortezza largamente sufficienti nel doloroso cammino del suo male, ha sempre manifestato con affettuosa delicatezza di apprezzare la presenza e l’opera del suo medico, non solo come operatore professionale, ma come amico e come persona che rappresentava per lei aiuto e protezione.

Sul piano umano e, soprattutto, su quello spirituale non potrò mai dimenticare i dialoghi sempre sereni, prima più approfonditi, poi coll’aggravarsi del male, più brevi ed in fine i silenzi in un’atmosfera in cui alitavano la sacralità del dolore, il calore dell’amicizia e la certezza che la fede stava realizzando gli obiettivi di una esperienza coltivata per tutta una vita.  Ricordo in fine che gli ultimi mesi di malattia, quando era costretta a letto dal progressivo indebolimento e dalle frequenti crisi dolorose, era visitata giornalmente da molte persone da lei beneficate o a lei amiche;accoglieva tutti col sorriso, col garbo, coll’affetto e con l’ansia di dare del suo cuore che per tutta la vita era stato aperto agli altri. Ricordo che nei colloqui con queste persone che si domandavano e le chiedevano perché proprio a lei, che era vissuta per il bene degli altri, Dio riservasse tante sofferenze: l’unica sua preoccupazione fu l’affermare con convinzione e con letizia che Dio era il bene assoluto; che poteva essere solo autore e fonte di allegrezza e di felicità; le sofferenze sue e di tanti altri erano originate soltanto dalla condizione umana decaduta per il peccato. Per questo, Cristo aveva assunto, innocente, la natura umana, aveva sofferto, era morto e risorto; era dolce perciò unirsi al Salvatore per attuare con Lui l’amoroso disegno di salvezza del Padre.  Fino all’ultimo Adele Bonolis è stata fedele ed amante del suo Dio che aveva chiamata bambina, l’aveva fatta strumento docile del suo amore per l’umanità ed ora la chiamava alla sua gloria attraverso la croce, come il suo figlio Gesù

Prof. Dr. Leonardo Mazzoleni, Dirigente A.M.C.I. e Presidente C.O.F., ADELE NELL’OTTICA DI UN MEDICO

Ho incontrato Adele Bonolis durante l’ultimo anno di guerra 1944-45 a Sondrio, nel convento di S. Lorenzo, delle Suore di Santa Croce, posto sul colle. Mi preparavo per dare gli esami di idoneità all’insegnamento nella scuola Elementare. Ella era capitata lassù perché era sfollata da Milano a causa dei bombardamenti. Venne a sapere dei miei studi e si prestò di buon grado a prepararmi in Pedagogia e Filosofia in cui era laureata. Naturalmente tutto per amor di Dio, disinteressatamente anche se i tempi erano assai difficili per tutti.
La chiarezza e la conoscenza profonda delle materie erano sue doti spiccate; soprattutto sapeva far riconoscere il valore degli sforzi dello spirito umano nella ricerca della verità, anche quando i risultati fossero ancora ben lontani dal possederla.
Colpiva, nel suo parlare e nel suo agire, l’abbandono pieno alla Divina Provvidenza e lei stessa narrava, in modo tanto piacevole ed edificante, non senza una certa arguzia, fatti in cui risultava che la sua fiducia provocava l’intervento del Signore. E che dire della sua semplice ma sicura fede in Lui fin da piccola quando portava alla balaustra, andandovi per ricevere la S. Comunione, i sassolini che dicevano al Signore i suoi sbagli del giorno precedente e ne chiedevano perdono? Furtivamente li deponeva sul gradino della balaustra in umile e fiduciosa offerta.
Questa sua trovata però non piaceva al sagrestano: egli si prefisse di scoprire il soggetto colpevole di questa irriverenza (chè tale doveva essere per lui) e se ben ricordo, individuatala, gliele suonò con tanta soddisfazione, mentre allo sguardo di Dio doveva essere un gesto tanto prezioso e gradito l’atto di questa tenera fanciulla!
Quando la vedevo pregare, sentivo che parlava al Signore: il suo atteggiamento, profondamente raccolto, lo diceva chiaramente.
Aveva una carità coraggiosa. Cito un solo episodio. L’ultimo giorno di guerra, proprio dietro al convento, era stato colpito un uomo che, imprudentemente aveva osato uscire dal portone di casa. Spasimava per una pallottola che lo aveva trafitto ed era penetrata nella colonna vertebrale. I Partigiani occupavano la vigna del convento; i tedeschi e i fascisti sparavano ininterrottamente dalla città sottostante. Dall’Ospedale, al quale si erano rivolti per avere soccorso, telefonarono di issare un lenzuolo bianco e di trasportare il ferito in città, su una barella. Adele fu una delle tre signorine che si prestarono con grande amore alla impresa non facile. Riuscirono a scendere per un breve tratto, ma poi furono bersaglio dei tiri provenienti dal piano e una pallottola sfiorò la testa di Adele, senza colpirla, per grazia del Signore. Dovettero desistere e ritornare.
In alcune circostanze, pareva prevedesse lo svolgersi delle cose. Prima che mi presentassi all’esame di Filosofia, mi disse: “Meriterà un ottò”. La cosa andò veramente così.
Era umile, ma riconosceva con semplicità che Dio l’aveva dotata di tanti doni, dei quali doveva rendere conto a quella santissima Trinità che era il centro della sua intensa vita di pietà.
Avvicinandola comunicava sempre serenità, sorriso, equilibrio, indice chiaro di una vita interiore, tutta appoggiata in Dio.
Ringrazio il Signore di avermela fatta conoscere: penso che dal Cielo continui il suo benefico ruolo presso Dio.

Sr. Maria Ada Ferloni , Ancella di Gesù Crocifisso, DUE POLI: DIO E IL PROSSIMO

Ho conosciuto Adele in modo insolito.
Avevo appena compiuto cinquant’anni ed ero finalmente libera come “casalinga a tempo pieno”.
Potevo mettere in atto il mio desiderio di dedicarmi un po’ al mio prossimo meno fortunato di me. Tirai fuori dal cassetto, dove avevo custodito per ben due anni, un foglietto azzurrino che parlava dell’AS-FRA. L’avevo letto e riletto varie volte e mi aveva sempre attratto lo scopo sociale di questo Ente Morale e così telefonai per un appuntamento.
L’incontro, tanto sospirato, con Adele durò piuttosto a lungo e si decise che avrei iniziato immediatamente – 1° dicembre 1974 – come impiegata d’Ufficio in via Lanzone.
Rimasi subito colpita quando, alla mia offerta di referenze Adele rispose decisa: “Non mi occorrono, altrimenti non sarei qui a portare avanti il lavoro che faccio”.
Ma il vero significato di questa espressione mi divenne chiaro quando venni a conoscenza delle quattro Case da lei fondate e vidi l’ascolto paziente che dedicava per ore ed ore a tutte le persone, indistintamente, che chiedevano di essere aiutate da lei nel modo più vario.
A questo primo “insegnamento” ne seguirono altri, quasi quotidiani. Bastava osservare Adele, come reagiva, cosa diceva dinanzi a tutto ciò che accadeva: grane d’Ufficio – telefonate con appelli urgenti dalle Case – richieste di aiuto di tutti i tipi – ricerca di inserimento per i suoi assistiti – ecc… E poi le sue splendide lezioni nel “Corso di formazione” e negli incontri mensili a noi del Gruppo “Amicizia” dove emergeva la profondità della sua fede.
Per me era un continuo verificare la sua coerenza fra fede ed azione ed il suo abbandono alla Provvidenza!
Ci vedeva preoccupate in Ufficio ed lei, con il suo sorriso e il dito alzato, diceva: “Mi raccomando, occupatevi seriamente della cosa, ma non preoccupatevi!”.
Ti sentivi rilassare nella sua serenità, nella sua fede così autentica che ti proteggeva e ti aiutava a crescere.
Poi, la sua lunga malattia, con tanta speranza nel cuore trasmessaci dalla sua serenità. L’animava sempre la sua voglia di vivere per dare ancora tanto ai suoi “minimi”, per dedicarsi alla evangelizzazione, all’ascolto in Parrocchia e tante altre iniziative, oltre la conduzione delle quattro Case. E sempre infaticabile guida e maestra del nostro Gruppo “Amicizia” anche dal suo letto di sofferenza. Quelle erano le visite che mi turbavano di più perché non si poteva confidare più in una guarigione: il progredire del male era troppo visibile.
Ed era ancora lei che riusciva a darci conforto ed a trasmettere la sua fede, la sua totale adesione al Piano Divino. Anche oggi, nei momenti di stanchezza, mi basta risentire la sua voce registrata o rileggere le sue lezioni per ritrovare la forza e l’entusiasmo di continuare a dedicarmi alle sue Opere.
Una frase mi è rimasta particolarmente nel cuore e nella mente come un dono perché ancora una volta testimonianza della sua grande fede e perché pronunciata in un momento di grande prova per lei, ricoverata all’Ospedale all’inizio della sua “Via Crucis”: “Dio è sempre nella nostra vita. E’ una presenza positiva e di amore!”.

Anna Maria Bevilacqua , Presidente “Amicizia, INCONTRO DETERMINANTE

Il mio incontro con la Dott. Bonolis ha una preistoria ed una storia.
La preistoria: nell’immediato dopoguerra rividi un compagno d’infanzia e d’oratorio del quale avevo saputo le disavventure, carcere compreso. Fu un incontro affettuoso e penoso allo stesso tempo, nel corso del quale l’amico vuotò, per così dire, il sacco.
A modo di conclusione però mi disse: “Per fortuna ho incontrato la Dott. Bonolis di Milano che mi aiutato a ritrovare la strada giusta e a ridarmi fiducia nella vita”. E così, almeno a livello di intuizione, ebbi modo di capire lo stile della Dott. Bonolis nel farsi prossima a quanti la vita aveva riservato una sorte amara.
L’episodio mi rimase impresso fortemente anche se dovevamo passare più di trent’anni per ritrovare il nome della Dott.Bonolis. E l’occasione fu l’annuncio dato nel maggio del 1970 e apparso su di un giornale di Monza che il giorno di Pentecoste si sarebbe inaugurata a Vedano al Lambro una Casa, la “Casa S. Paolo” per dimessi dal carcere e dai manicomi giudiziari. Da tempo pensavo di lasciare il mio lavoro per dedicarmi a tempo pieno al servizio del prossimo e quell’annunciò suonò, per me, come un invito perentorio.
Così ai primi di giugno mi presentai a Vedano alla Dott.Bonolis per offrire le mie prestazioni. Mi trovai subito di fronte ad una donna eccezionale e affascinante nel senso più elevato della parola. II nostro primo colloquio fu molto semplice ma pieno di sostanza e si concluse con l’incarico di responsabile della Casa.
Sin dai primi giorni del mio servizio mi venne l’idea di tenere un diario e la mia titubanza venne fugata dall’evangelico “non sappia la sinistra quello che fa la destra”.
Sostanzialmente non mi dispiace di questa assenza di notizie note solo a Dio e talvolta parzialmente agli uomini. Adesso che mi si chiede di dire qualcosa della Dott. Bonolis forse mi sarebbe stata utile qualche nota di diario. Mi affido un pochino alla memoria e un poco di più al cuore.
Le domande improvvise – quasi fuori tema – che la Dott.Bonolis ed io ci ponevano erano tutt’altro che infrequenti. Dopo aver letto una ponderosa biografia di Armida Barelli, quasi per aver in mente in poche parole la figura di questa donna straordinaria, chiesi alla Dott. Bonolis che l’aveva conosciuta: “Cosa mi dice della Barelli?” e lei di rimando: “Era una donna che faceva quello che diceva”. Dicendo così, la dottoressa, ovviamente, senza avvedersene, faceva non solo il suo autoritratto ma confermava il fatto che tra santi ci si conosce e ci si capisce senza fiumi di parole.
In una determinata occasione fu lei a pormi una domanda che mi sorprese non poco anche perché stavamo parlando di un argomento che quasi ci inchiodava i piedi a terra. Con quel suo sorriso così dolce, vivacizzato da una punta di santa furbizia mi chiese quasi a bruciapelo: “Ma Lei alla Madonna vuol bene?…”.
“Come si fa a non voler bene alla Madonna?” le risposi, e lei chiuse la faccenda con uno di quei silenzi di rara eloquenza, che sfoderava nei momenti più adatti. Evidentemente ripresi per conto mio la domanda e non feci fatica a capire il senso della provocazione.
La dottoressa non dubitava del mio amore alla Madonna ma aveva intuito che in relazione al mio compito, io dovevo amarla di più, dovevo penetrarne maggiormente il mistero, dovevo coinvolgerla nelle nostre faccende più di frequente ed in maniera più convinta. Ed aveva ragione.
Capitava spesso che gli incontri con la dottoressa si prolungassero più di quanto gli altri prevedessero e più di una persona e non sempre benevolmente diceva: “Ma cosa stanno a fare quei due?”. Anzitutto Adele si interessava dei collaboratori, a partire dal sottoscritto, ad uno ad uno.
Per via delle loro mansioni li considerava i primi ospiti della casa e sapeva quanto fosse importante attendere alla loro formazione, alla loro istruzione, alla loro ricarica nei momenti di “bassa tensione”. Aveva a cuore la loro unione e solo Dio sa quanto sofferse in alcuni momenti, e di quanta gioia era invasa quando la sua Casa era veramente una “casa” a tipo familiare. Amava molto i suoi collaboratori non perché fossero più buoni o più bravi ma perché erano più bisognosi. Con l’esempio e, senza mai mettersi in cattedra, diventava maestra di umiltà. Per tutti vigeva lo stesso titolo per essere ammessi alla Casa: il bisogno, non il merito.
Degli ospiti si interessava ad uno sostenendoli a volte con le parole, più spesso col silenzio (oh benedetti silenzi della Dott. Bonolis!) comunque sempre con quel cuore materno che le bruciava dentro, riuscendo ad addolcire i provvedimenti gravi ma giusti che talvolta la situazione esigeva.
Aveva sempre presente la situazione esistenziale dell’uomo in tutta la sua estensione, passata, attuale e futura e questo non solo e non tanto in vista del possibile reinserimento nella vita, quanto in relazione al suo destino eterno in quanto figlio di Dio.
A guidarla in questa direttrice di marcia era una delle convinzioni più radicate nel profondo del suo animo: la realtà battesimale.
Si può dire che fosse il battessimo fatto persona.
Con la vita andava insegnando che, essendo noi inseriti in Cristo nella somiglianza della morte, lo saremo anche in quella della Risurrezione sempre che il nostro uomo vecchio abbia superato lo stato di peccato in modo da non esserne più schiavi.
“Morte al peccato e vita in Cristo” (Rom 6, 2-11).
Senza imporre niente a nessuno aveva il genio di trasformare l’assistenza materiale in autentica testimonianza di carità e più di una volta ebbe la gioia di costatare che gli effetti del battesimo, quali la purificazione dal peccato e la restituzione all’uomo della grazia divina trovavano nella casa quel terreno fecondo sul quale fioriva la partecipazione della nostra vita naturale alla soprannaturale vita divina con le conseguenze che ne derivano non solo per la vita terrena ma specialmente in ordine al nostro destino oltre la morte temporale, per l’eternità.
Sentiva fortemente il suo e nostro “essere Chiesa” che concretamente significava essere “uomini nuovi” nella mentalità, nel costume, nello stile di vita e specialmente nella carità fraterna a partire da quanti ci ripresentano più al vivo il Signore in mezzo a noi: gli ultimi, quelli che tutti scansano e che nessuno vuole.
Ecco tracciato qualche centimetro di strada che conduce appena alle soglie di questa grande donna immersa e vivente nel mistero della Trinità attraverso ogni genere di sollecitudine, comprese quelle apparentemente meno “spirituali”.
Che la Dott. Bonolis vivesse costantemente alla presenza di Dio, trasformando in altare non solo la sua vita ma specialmente il letto della sua sofferenza, non c’è dubbio.
A dimostrarlo potrebbe servire anche qualche ombra non estranea alla vita di Cristo e a quella dei suoi santi e precisamente che si è potuto viverle accanto per anni, senza capirne molto, incapaci o forse riluttanti a cogliere il suo mistero profondo.

Angelo Viganò, Ex Direttore della Casa S. Paolo di Vedano al Lambro, QUEL CHE DICEVA… FACEVA

A quarant’anni di distanza ricordo uno dei primi incontri con la carissima Adele, nel giorno dell’Ascensione 1944 in una piccola chiesa di campagna, sopra Sondrio, dove un gruppo di suore e di signorine erano state invitate a cantare durante la celebrazione Eucaristica. Tra le voci più belle che sostenevano il coro si distinguevano quelle della prof. Achilli e della dott. Bonolis ed io ne riportai un profondo e soave ricordo.
Altri incontri si susseguirono nel rifugio antiaereo dell’Istituto Santa Croce in Sondrio dove durante l’allarme si radunavano molte persone oltre le studenti del Convitto e, proprio nel rifugio ebbi la certezza di avere la fortuna di conoscere in Adele una persona dalle doti eccezionali in campo spirituale, morale e culturale.
Avvicinando Adele più volte, ebbi modo di chiedere consigli soprattutto spirituali in un periodo di profonda angoscia e il Signore per il dono di questi incontri, che mi diedero tanto conforto, luce e forza per superare difficoltà gravi del momento e anche uno spazio più ampio, per aspirazioni e impegni più validi per il mio avvenire. Più volte e da persone diverse mi fu consigliato di scrivere le mie esperienze positive vissute, nei trentacinque anni di lavoro vicino ad Adele, e dalla sua forza e dal suo esempio sostenuta e incoraggiata.
Fare questo non è una cosa facile, perché un conto è vivere giorno per giorno e lavorare con una persona della quale si ha la piena fiducia e tanta comprensione, e un conto è metterle per iscritto, perché altre persone ne vengano a conoscenza. Le parole sembrano inadatte e si ha l’impressione di sciupare il tesoro che si conserva nel cuore.
Quello che maggiormente mi commuoveva (e tante volte mi metteva in crisi) era la sua grande disponibilità, il suo rispetto e la fiducia che manifestava negli incontri con persone di qualunque ceto, che ogni giorno animava e nelle quali sapeva infondere tanta speranza, sapendo cogliere in ognuna di queste persone il lato positivo, aiutandole a raggiungere la loro normalità, sempre rispettando la loro personalità, ma facendo rivivere in loro la gioia di sapersi amate e salvate dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature.
In ogni occasione Adele sapeva fidarsi del Signore e della sua Provvidenza abbandonandosi totalmente, anche nelle cose più piccole, con una docilità all’ispirazione dello Spirito Santo che sempre invocava prima di ogni incontro, personale o collettivo.
Le quattro Opere che ha saputo far sorgere, si può dire siamo scaturite dalla sua grande fede in Dio e nella sua Provvidenza, nonostante la disapprovazione di persone che, pur volendole tanto bene, vedevano le cose troppo umanamente; in quei momenti diceva che la fiducia in Dio deve essere totale, pur usando tutta la prudenza e la previdenza dei mezzi umani a nostra disposizione.
Anch’io tante volte, in diverse circostanze, mi sono permessa di chiederle come mai non prendeva decisioni o posizioni, intervenendo con la sua autorità in circostanze che a me sembravano serie e importanti per un suo interessamento. Adele mi rispondeva che non aveva pregato abbastanza e che lo Spirito ad intervenire doveva sentirlo dall’interno con la sua luce e la forza che solo Dio può dare, per non ostacolare l’azione della Grazia in sé e negli altri e che l’intervento della Provvidenza bisogna saperlo attendere con tanta fede perché l’orologio della Provvidenza è sempre in ritardo sul nostro e, in quel ritardo, occorre intensificare le nostre preghiere.
Mi raccomandava sempre di essere fedele nel conservare lo spirito della casa che mi aveva inculcato, specie ogni volta che si doveva accogliere una nuova ospite. Questa raccomandazione si fece più pressante nelle ore che annunciavano imminente la sua dipartita, raccomandandomi di infondere in ognuna delle ospiti tanta fiducia nella loro ripresa fisica, morale e spirituale, aiutare dalla sicurezza che Dio le ama e le vuole salve.
Ora che Adele ha incontrato il suo Signore e gode la Sua luce e la sua amicizia, sembra non intervenga subito alle mie richieste di aiuto: i suoi modi di assistenza spirituale non corrispondono sempre ai miei desideri, nelle difficoltà che incontro nell’avvicinamento delle persone, che credo molto importanti; poi Le chiedo di vegliare sulla sua opera portandola avanti nonostante le mie paure, i miei dubbi e i miei limiti.

COMPLETA FIDUCIA IN DIO

Ho conosciuto Adele Bonolis a Casale Cortecerro nella casa degli esercizi “Villa Pia” del Prof. Gedda.
Ero stata invitata dall’amica di Adele, Giuseppina Achilli, incontrata a Castelnuovo Fogliani (Piacenza) per “giornate di studio” dell’Azione Cattolica.
Mi osservò dalla testa ai piedi, come per un esame… ma non capii che impressione avesse riportato perché non fece nessun commento.
II corso predicato da Don Giovanni Saldarini (ora Vescovo Ausiliare di Milano) mi piacque moltissimo. Ebbi modo, durante il corso, di conoscere più da vicino Adele e capii di trovarmi davanti ad una donna con una forte spiritualità, sostenuta da profonda umiltà e dalla conoscenza dei problemi del tempo in cui viviamo. Dalla sua persona emanava rispetto e confidenza allo stesso tempo.
Successivamente divenni socia dell’Associazione “Amicizia” da lei fondata e frequentai, con molta fedeltà, le riunioni alla terza domenica di ogni mese a Milano, e ogni volta rimanevo incantata per il modo con cui trattava argomenti difficilissimi quali: la Trinità – il Dolore – l’Amicizia – le Beatitudini ecc. con una chiarezza di linguaggio e una “Fede “ di cui le “opere” da lei fondate ne sono la testimonianza più eloquente.
La ricordo soprattutto in tre momenti: quando tornava al banco in Chiesa dopo aver ricevuto la S. Comunione: era talmente assorta in Dio che sembrava fosse già in Paradiso.
A tavola: l’attenzione che aveva per ognuno dei commensali perché prendessero, sia in quantità, quello di cui avevano bisogno.
Infine, quando andavo a Milano per ascoltare le lezioni, mi voleva davanti a sé; guardandomi, capiva se il suo modo di esporre era comprensibile…
Io ho avuto la grazia di militare nell’Azione cattolica fin dell’adolescenza con dei maestri ineguagliabili quali Mons. Carlo Boiardi, Mons. Ersilio Tonini e Maria Bisi, quindi una certa base l’avevo e non ho fatto fatica a seguirla. Devo riconoscere però di aver ricevuto tanta luce.
Ancor oggi quando ascolto certe prediche o lezioni di catechesi, confrontandole a quelle di Adele, sento la povertà di chi parla, in confronto alla sicurezza con cui Ella trattava qualsiasi argomento religioso, morale ecc.
Si sentiva che viveva ciò che poi trasmetteva agli altri, a somiglianza di Cristo, il quale cominciò a fare e poi a insegnare.
Tutti i suoi scritti sono la fotografia della sua anima.
Ho sul comodino, vicino al letto, due fotografie: della mia mamma e di Adele. Alla sera le guardo, le ringrazio, e se la giornata è stata nera… le sgrido… perché guardano troppo poco su questa terra di esilio e di pianto.

Cesarina Corcagnani, AFFETTUOSO PROFILO

Due momenti mi sono presenti a quando parlo di Adele Bonolis; l’incontro in anni lontani nella Sede dell’Azione Cattolica Milanese e quello alla fine della sua vita operosa.
In qualche occasione, nelle serate organizzate dall’A.C., più di una volta ebbi la ventura di essere relatore con Lei. La sua profonda spiritualità dava al suo dire franco, aperto, concreto, un non so che di superiorità che proveniva naturalmente (e non recava perciò fastidio) da tutto il suo essere, teso essenzialmente a Dio. II conversare con lei era piacevole perché, pur partendo da profonde radici spirituali, sapeva andare al concreto con spirito di servizio non comune. La sua cultura e la sua creatività sapevano coinvolgere le più svariate argomentazioni.
Sempre Adele ha visto l’A.C. come apostolato a servizio del prossimo, senza distinzione di categoria.
Il suo carattere aperto, gioviale non appesantiva le conversazioni, i dialoghi; nel suo dire sapeva sempre mettere un pizzico di buon umore.
Vuoi come propagandista delle donne di A.C., vuoi come delega della moralità, vuoi come sostenitrice del quotidiano cattolico ( l’Italia prima, l’Avvenire dopo) era sempre disponibile quando c’era bisogno della sua parola calda, chiara, appassionata.
Ho fatto cenno ai problemi della moralità al tempo della legge Merlin (chiusura delle case di meretricio) e ricordo gli incontri fruttuosi con l’allora delegato della moralità degli uomini dell’A.C., signor Attilio Donat-Cattin, di Adele Bonolis nella quale stava maturando il progetto della Casa “Maria Assunta”, casa di accoglienza per le sorelle che avessero lasciato la via del vizio.
La franchezza e la limpidità del suo dire finiva sempre con il convivere sulla validità delle sue proposte che venivano perciò accettate.
Pur nella distinzione dei compiti, quando si trattò della campagna elettorale per il 18 aprile 1948, Adele non esitò a collaborare con il Comitato Civico e portò la sua parola calda e suasiva nei vari centri della Diocesi.
La sua esperienza di psicologa nata non conobbe barriere e sfociò poi in quelle opere che vanno dal C.O.F al CODIC, alla ASFRA e a Villa Salus che sono realtà viventi ed operanti.
Dove la luminosità della sua figura si fa ancora più ammirevole è il lungo periodo della sua malattia (tre anni e nove mesi) che non le impedì di lavorare sino a due mesi prima della morte.
“Sia fatta la volontà di Dio! Quel che non potrò fare sulla terra cercherò di fare, se il Signore vorrà, dall’aldilà”, mi disse, con tanta naturalezza, nel mio ultimo incontro nella sua camera di Via Lanzone, dove ricevette tutti fino all’antivigilia della sua dipartita dando a ciascuno una grande insegnamento sulla morte, il “dies natalis” che l’avrebbe introdotta nella casa del Padre.
Maestra di Vita interiore, apostola autentica di Cristo aperta a tutti, specie ai “minimi”. Così mi piace ricordare Adele Bonolis, personalità di donna umile e sapiente della sapienza di Dio.

Comm. Carlo Demetrio Faroldi, Vice Presidente dell’Associazione Italiana Laringectonizzati – Milano, DALL’ASSOCIAZIONE DI A.C. ALLE OPERE CARITATIVE SOCIALI

Esprimere i miei sentimenti per la cara Adele Bonolis non mi è facile, superati, come saranno, dai vivi ricordi di altre persone che con Lei hanno lavorato ogni giorno con dedizione ed affetto. Voglio ugualmente dirli perché credo che, essendo sinceri, serviranno ad illuminare sempre di più la fulgida personalità della buona amica; personalità che quasi senza me ne accorgessi, arricchiva il mio animo. Sono stata molte volte con Lei nei gruppi della periferia milanese ai quali il Centro Italiano Femminile l’aveva pregata di parlare.
Argomenti di grande impegno sociale e spirituale: la famiglia, i giovani, gli anziani, gli emarginati.
Non c’era bisogno che La presentassi alle amiche dei gruppi poiché già tutti La conoscevano per gli innumerevoli Suoi interventi e per la Sua indefessa, operosa attività.
L’aggancio col pubblico era immediato: col Suo sorriso, la parola fluida e suadente, la fermezza del Suo dire sulle questioni di fondo per una vita cristiana, la comprensione delle difficoltà del momento presente, rendevano breve il trascorrere del tempo che Ella poteva dedicarci. Veniva poi “sommersa” dalle domande che, si può dire, tutte le presenti le rivolgevano per consigli, chiarimenti, orientamenti tanto grande era la fiducia che la Sua profonda spiritualità ispirava.
Anch’io ho chiesto a Lei più volte consiglio ed aiuto per risolvere problemi che mi assillavano nel compimento di miei doveri nell’Associazione alla quale appartenevo. Li avrei certo risolti, col mio carattere impulsivo, in modo non adeguato e forse poco cristiano. Seguivo i Suoi consigli, dati con grande semplicità ma con quella saggezza e con quell’equilibrio che soltanto un’anima illuminata dalla Fede e dalla Grazia può far giungere ad un’altra anima più trepida e meno coraggiosa.
Oggi che Ella ha raggiunto la felicità vera e perenne, sento quanto io sia stata fortunata d’averla conosciuta e quanto la Sua amicizia abbia arricchito il mio cuore.
La Sua immagine-ricordo è sul mio scrittoio unita a quelle delle persone familiari a me più care ed a Lei va spesso il mio ricordo e la mia preghiera.
Non La dimenticherò mai e sono certa che Lei ora leggerà in me e riconoscerà la mia profonda, affettuosa ammirazione, la mia riconoscenza per la Sua alta spiritualità; sentimenti che forse (anzi senza forse) non ho saputo esprimerLe quando era fra noi

Angela Bruno, Ex Presidente Regionale CIF della Lombardia, CONSIGLIERA PREZIOSA PER TUTTI

II ricordo più vivo ed immediato che mi balza alla mente nel rievocare la figura e l’opera della dott. Adele Bonolis, come l’ho vista e come l’ho seguita, in lunghi ed intensi anni della mia permanenza a Milano, è quello della sua fiducia illimitata ed incondizionata nell’aiuto della Divina Provvidenza.
Ferma nella sua dedizione per i “piccoli”: gli abbandonati, gli emarginati, i diseredati, le prostitute, essa iniziava imprese irte di difficoltà, sicurissima, senza remore o dubbi, che il Signore l’avrebbe aiutata e sorretta nell’aspro cammino della realizzazione dell’opera se questa era, nei disegni divini, meritevole di compimento.
Nella mentalità della gente comune, con visione utilitaria e soggettiva (minimo impegno e massimo risultato) alcune imprese potevano apparire imprudenti o temerarie, destinate senz’altro al fallimento. Non così per Adele che alla Fede salda come roccia, univa cultura, intelligenza, coraggio, decisione e soprattutto sensibilità per le sofferenze del prossimo, e generosamente si impegnava, spendendo tutte le sue doti e la sua energia nel lavoro intenso, curato nei minimi particolari.
Essa più volte mi ha dato l’impressione di parlare e di operare ispirata dallo Spirito Santo. Invero alcuni salvataggi in extremis di imprese per le quali occorrevano somme ingenti, sorprendentemente elargite da impensati benefattori, o la possibilità di districarsi da pastoie burocratiche in maniera eccezionalmente lineare, avevano del miracoloso. Com’era stupefacente il candore e la semplicità delle relazioni che Adele faceva, come cose ovvie e scontate, in occasione delle assemblee dei soci, durante le quali la prof. Achilli, scrupolosa tesoriera, collaboratrice attenta ed affettuosa sorella di vocazione, provvedeva al rendiconto finanziario. Adele ne illustrava la parte operativa dando risalto ai contatti umani con accenti che trasportavano gli ascoltatori in un’atmosfera lontana dal tran-tran quotidiano e li rendeva stupiti, commossi ed ammirati per tanti insperati successi. Si aveva l’impressione che Adele non solo testimonianze il Vangelo, ma seguisse passo passo Cristo nella sua missione terrena.
II Signore ha voluto, dopo trent’anni di lavoro per le quattro Case, segnala con tante sofferenze nella lunga malattia, sopportata da Santa, ancora e sempre sulla breccia fino agli estremi delle forze, quasi a purificarla nell’attesa consapevole della morte terrena per la vera Vita.
La ricordiamo come un simbolo ed un’affermazione: simbolo della carità generosa ed incondizionata, affermazione di una Fede profonda, costante e coerente nel pensiero, nelle parole, nelle opere.
La vita di Adele, così intensamente spesa a vantaggio del prossimo bisognoso di aiuto fraterno, ha senza dubbio lasciato un’impronta anche nei cuori più incalliti.
Ora Essa gode la visione beata del Signore, ma continua ad essere esempio luminoso e monito a quanti hanno avuto la fortuna di conoscerla e possono vantarsi di averne goduto l’amicizia.

Teresa Guerra Rosa, ex dirigente Cif, Milano, ILLIMITATA FIDUCIA NELLA PROVVIDENZA

II tempo in cui conobbi Adele Bonolis è ormai lontano, ma non posso dimenticare quel primo incontro che ebbi con lei.
Una zelante signorina dell’Associazione “Cardinal Ferrari “ mi aveva chiesto di occuparmi di una persona che si trovava in una situazione difficile.
“Si tratta di una donna che ha avuto un passato burrascoso e ora è costretta per vivere a mettersi sulla strada… ma è una scrittrice. Non si sa come sia arrivata così in basso… si è data al bere, forse, e adesso è in miseria. Noi le diamo qualche aiuto, ma bisognerebbe fare qualche cosa di più: parlarle, ridarle il senso della dignità che ha perduta, dimostrarle che qualcuno crede che possa tornare ad essere quella di prima… Vedi un po’ di starle vicino…”.
La signorina che mi parlava era molto gentile e ricordo il suo sorriso dietro il quale io, studente alle prime armi in quel genere di apostolato, non seppi leggere la debolezza di chi forse aveva già fatto qualche tentativo in quel senso, che però era fallito, e ora tentava un’altra strada.
Accettai l’incarico affidatomi e mi rivedo al fianco di quella donna, passeggiare, in piazza del Duomo, con la sensazione di compiere un atto di coraggio perché, se Gesù non si era vergognato di lasciarsi accostare della Maddalena, anch’io non dovevo vergognarmi di prendere quella persona a braccetto… perché dovevo a tutti i costi trattarla come se ignorassi il suo passato o non volessi tenerlo in alcun conto, affinchè potesse sentirsi riabilitata, agli occhi di se stessa, prima, e poi agli occhi degli altri.
Certamente incoraggiata da quel gesto di amicizia, quella donna mi disse che non sapeva dove andare a dormire e mi resi conto che le buone parole non bastavano.
Ho sempre pensato che per mettere in pratica il Vangelo ci vuole dell’eroismo e il mio entusiasmo giovanile mi spingeva a buttarmi in quella azione di salvataggio fino in fondo. Parlai in casa di quella faccenda, dissi ai miei che, se volevamo essere coerenti col nostro cristianesimo, avremmo dovuto ospitare quella donna, metterla alla nostra tavola, farle un po’ di spazio in casa nostra perché non fosse costretta a tornare sul marciapiede un’altra volta. Non vedevo altra via d’uscita: o abbandonarla a se stessa o accoglierla. Ricordo l’espressione di sgomento e di timore sul viso dei miei familiari: “… una prostituta? Ma ti rendi conto?
Non sappiamo chi è… Una famiglia non può fare queste cose… ci vorrebbe un luogo apposito, un’istituzione…”.
Fu allora, e non ricordo come, che conobbi l’indirizzo della professoressa Adele Bonolis. Provai una gioia immensa: certamente Lei mi avrebbe aiutato. Andai a trovarla, le parlai del caso.
La rivedo semplice e sorridente accanto alla scrivania coperta di carte. Mi raccontò che il Signore l’aveva chiamata a quell’opera di recupero di simili persone, fin da quando era bambina, fin da quando aveva fatto la Prima Comunione. Mi parlò di Dio, dei Suoi doni, della Sua grazia.
“Non possiamo mai ritenerci confermati in grazia”, mi disse, “fino all’ora della morte”.
Quel giorno la guardai quasi incredula, ma quante volte mi tornarono poi in mente quelle parole. Infine mi disse di condurre da lei quella donna.
Quando le fu possibile riceverci, Adele la interrogò con delicatezza, con affabilità e l’ascoltò con pazienza, lasciandola parlare liberamente senza mai lasciar trapelare il benché minimo segno di insofferenza o di disgusto per le squallide vicende che la donna le confidava. Alla fine di quel colloquio, al quale volle che io restassi presente, disse: “E adesso diciamo un “Padre nostro”.
Ci alzammo in piedi e insieme, tutte e tre, recitammo la grande preghiera.
Ecco il modo di agire dei santi – pensai tra me – . Non si vergogna di pregare apertamente. Un’altra persona penserebbe di diminuirsi, di apparire magari ridicola, temerebbe di essere giudicata una bigotta o una ingenua di cui ci si può approfittare.
Ma Adele aveva più fiducia nella presenza di Gesù in mezzo a coloro che pregano in Suo Nome, che rispetto umano.
In quel momento apparivano più vere che mai le parole del Signore: “… chiunque vorrà essere grande fra voi sarà vostro servitore e chiunque vorrà essere grande fra voi sarà vostro servitore e chiunque fra voi vorrà essere primo, sarà vostro servitore e chiunque fra voi vorrà sempre primo, sarà vostro servitore; appunto come il Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito ma per servire (Mt 20, 26-28).
Adele non pensava neanche lontanamente ad essere grande o a primeggiare, ma si era posta in un continuo atteggiamento di servizio nei confronti degli altri, dei più negletti, dei più disprezzati, dei totalmente emarginati, di coloro che sono a sé nella preghiera, come fosse una sorella di fede, quella donna che si riteneva perduta. Ebbene, quella persona fu ospitata in una bella villa che a quel tempo le prof.sse Bonolis e Achilli avevamo preso in affitto a Varenna e dove accoglievano persone decise a cambiar vita. La mia gioia per quella insperata sistemazione della mia protetta fu veramente grande e anche i miei familiari tirarono un respiro di sollievo commentando: “Ecco, quello è proprio il posto giusto”.
Dopo qualche tempo tornai a trovare l’Adele per chiedere notizie di quella donna ed ella mi disse, senza nessun risentimento nella voce: “Se n’è andata; è venuto un suo amico di nascosto e se n’è andata con lui”.
Non potei fare a meno di esclamare: “Sembrava proprio sincera quando diceva che voleva cambiare vita, che non poteva farlo solo per la sua grande indigenza… Adesso lì aveva tutto: una casa un lavoro, la possibilità di riabilitarsi… Ci ha proprio ingannate.
Aveva promesso che non avrebbe fatto sapere a nessuno che sarebbe andata a Varenna…”.
“ Se vorrà tornare, disse con tono calmo e sereno Adele, l’accoglieremo ancora, ma credo che non lo farà… siamo abituate a queste situazioni.
Ancora una volta Adele parlava secondo il Vangelo; le avrebbe perdonato quella fuga, l’avrebbe accolta ancora.
Senza severità, senza irrigidimenti, senza intransigenza. Forse l’avrebbe ancora invitata a pregare con lei: “… rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori…”.
La porta di Dio rimane sempre aperta con pazienza infinita, purchè il figlio che è fuggito da casa ritorni…
E Adele era proprio là, sulla soglia di quella porta, per non respingere mai chi fosse giunto fin là, per dare rifugio e possibilità di salvezza proprio a quelli che avevano disperato ormai di ottenerla. Solo l’amore di Dio può compiere tali miracoli. E Adele Bonolis, sempre con tutta se stessa, visse in quell’amore!

Anna Maria Cenci, Medico, “PREGHIAMO INSIEME”

Ricordo il primo incontro con l’Adele. Fu quando ella venne a prelevarmi dal Monastero ove avevo trascorso molti anni. Lascio immaginare il mio stato d’animo in quel giorno. Ero angosciata per il distacco che stavo per fare, preoccupata di ciò che mi attendeva…
II pensiero poi di incontrarmi con una persona che non conoscevo mi metteva sicuramente in soggezione e mi turbava.
Invece appena la vidi, attraverso la grata, il mio animo si calmò come per incanto. II suo viso semplice e sorridente, la sua parola dolce e materna mi ridonarono all’istante una pace e una serenità che mi dilatarono l’animo e mi fecero sentire subito a mio agio, come con una persona nota da sempre. A Lucinasco poi l’accoglienza che ebbi fu veramente magnanina! Per non mettermi subito a contatto con le ospiti, mi diede ospitalità nientemeno che l’appartamentino del sacerdote, dove venivo servita a parte con tutti i riguardi possibili e con carità squisita e delicata dalla Giovanna. E questo per un periodo non prefissato, fin che mi abituai e mi resi familiare all’ambiente. Solo il cuore grande e generoso dell’Adele poteva progettare una simile ospitalità.
Ricordo che le sue visite a Lucinasco e le sue brevi permanenze erano per tutte, e particolarmente per me, una festa.
Come poi dimenticare quelle ondate di gioia quando, al mattino, dopo la S.Messa, nel breve tragitto in macchina da Montano alla nostra casa a Lucinasco provavamo il canto del Magnificat o di qualche lode alla Madonna, quale ringraziamento alla Santa Comunione? Lei era raggiante! Dai suoi occhi e dal suo viso sprizzava una scintilla di cielo che trasmetteva pure a noi. Chi potrà infatti descrivere ciò che Egli comunica alle anime innamorate nelle quali dimora? Sempre, ogni volta, mi era spontaneo pensare: se anche il mondo potesse comprendere quale gioia si gode vicino a Lui!
Per dimostrare poi anche solo pallidamente la sua grande fede e il grande apprezzamento che aveva del valore della preghiera, non potrò mai dimenticare la proposta veramente sbalordita che ella mi fece un giorno che venni a Milano. Conosciamo la vicinanza in via Lanzone all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ove ogni giorno è esposto Gesù all’adorazione. Ebbene, ella mi disse che se io avessi accettato, lei mi avrebbe mandato ogni giorno è esposto Gesù all’adorazione. Ebbene, ella mi disse che se io avessi accettato, lei mi avrebbe mandato ogni giorno per l’adorazione e questa sarebbe stata la mia occupazione… sarei poi tornata lì per i pasti ecc. Mi disse che avrei pregato per le Opere per le quali c’era tanto bisogno… per lei… per tutti. Ma io come avrei potuto accettare una simile proposta? Vivere a sue spese così, dopo essere già stata da lei tanto beneficata? Non era possibile. Mi pareva che anche il Signore non volesse da me tale cosa e rifiutai. Perciò in forma diversa, tornai a servire Lui nelle nostre case. Ora continuo in Monastero la missione che l’Adele avrebbe voluto allora darmi. E cioè continuo a pregare per tutti… per le Opere che non dimentico e per le amiche!
Continuo a ringraziare Dio per tutti, per la Chiesa… ad adorarlo in spirito e verità.L’adorazione è l’ufficio particolare di ogni anima visitandina raccolta nel silenzio, nella fede, immersa nel raccoglimento, abbandonata alla Sua azione creatrice.
Rimaniamo in comunione di preghiera e aiutiamoci a farci sante perché la nostra vita “bruci nella luce di Cristo”, così come Adele ci diede l’esempio.

Sr. Emmanuele Giuseppina, Visitandina, CUORE GRANDE E GENEROSO

Dico subito che sono una delle tanto fortunate che hanno conosciuto Adele. Sono sempre stata contenta di averla incontrata: la sua amicizia aveva riacceso in me il desiderio di vivere con più bontà e calore umano. Adele fu creatrice di vera amicizia verso tutti.
Non intendeva una amicizia pianificante e possessiva tendente a fare brutte copie di sé, ma una amicizia rispettosa di tutte le originalità.
La ricordo: con il suo bel sorriso e la sua anima luminosa sapeva accattivarsi la simpatia e l’affetto di quanti l’avvicinavano.
Con la forza della sua fede in Dio e con il suo modo convincente sapeva sollevare gli altri dallo sconforto.
Esortava tutti a stare uniti ed a volersi bene.
La sua vera cortesia nell’accogliere gli altri era un modo che non faceva mai sentire a disagio perché l’incontrarsi con altri, parlare con altri era per lei come parlare con il Signore.
Ringrazio Dio del dono avuto nel concedermi di frequentarla e realizzare una amicizia che custodisco nel mio cuore e che tanto mi aiuta nei rapporti umani.
Ripensandola nei diversi momenti d’incontro comprendo quanta ricchezza di carità e vivacità di spirito possedeva.
Quando ad un suo complimento risposi che mi sembrava immeritato, perché non mi riusciva di amare come credevo lei avrebbe voluto, mi disse: “Sarebbe bene per te e per gli assistiti in particolare che tu amassi come buoni fratelli; comunque non essere angosciata per questa tua incapacità, pensa intanto come è importante che tu voglia il loro bene e, con il voler bene a tutti e non solo a preferiti, il Signore ti aiuterà anche ad esternare i tesori che il suo cuore racchiude”.
Mi ritornano alla mente quando penso a Lei parole degne di riflessione: “Non lasciare mai a mani vuote quelli che hanno diritto ad essere soccorsi”. Ed ancora: “Nel lavoro deponi la fretta, l’ansia per poterti meglio dedicare ai veri valori che rimangono anche dopo la morte”.
Anche a distanza di anni nelle nostre conversazioni abituali quando vogliamo confermare una verità o convalidare una esortazione accade a me e ad altri di ripetere un suo detto caratteristico sempre validissimo.
Ammiravo in lei l’accettazione serena delle difficoltà quotidiane e soprattutto il cercare di mettersi dalla parte degli altri per giustificarli. La sua Fede la portava a non lamentarsi delle sofferenze atroci causate dal terribile male che l’aveva colpita e quando ne era maggiormente aggredita lo chiamava “uggia”.
Ricordo anche di questo periodo particolare il dolce sorriso e lo sguardo attento nell’ascoltare chi la andava a trovare nascondendo la fatica e la sofferenza preferendo parlare di loro e delle Case di accoglienza dei suoi assistiti più che di se stessa.
Ricordo lo smarrimento che ci prese quando venne a mancare Adele. Ella però dall’alto ci sostiene nonostante le inevitabili difficoltà che la sua assenza può determinare.
Sovente penso che se mi fosse stata data la possibilità di una conoscenza più intima quale quella tra lei e l’amica Giuseppina avrei potuto forse tracciare una immagine più completa di Adele tanto da suscitare un sentimento di profonda ammirazione da parte dei lettori che non l’hanno conosciuta.
Mi sembra comunque che il modo migliore di ricordare Adele non è rimpiangerla ma dimostrare come essa vive in noi oggi.

Armanda Menni Cagnacci, Collaboratrice Opere, CREATRICE DI SINCERA AMICIZIA

Benedico il giorno che ti ho incontrata Adele! Allora ero delegata sociale della mia parrocchia. Eravamo andate assieme da Attilio Donat Cattin, delegato moralità la C.O.F. E’ stato in quel tempo che un raggio di Dio tu hai trasmesso in me. La mia croce era la situazione di mio marito che, pur battezzato, era lontano da Dio e dalla Chiesa, nonostante le nostre incessanti preghiere.
Dopo averlo conosciuto, tu hai rinvigorito la mia speranza e spesso mi andavi ripetendo: “Prega! Sono sicura che egli si avvicinerà spontaneamente al Signore”.
E un giorno, dopo 35 anni, si avverò la tua profezia. Quale gioia per noi!Tu alleviasti tante pene che in quell’epoca gravano sulla mia famiglia. Una tua parola dissipava la nube e scorgevamo un lembo di sereno che dava fiducia nel domani.
Grazie, Adele, grazie a te, Giuseppina, sua fedele amica: ci avete aiutato nei momenti più difficili della nostra esistenza.
Avrei voluto seguirti sempre, aiutarti, ma non mi è stato possibile. Ho però, con le mie figlie, seguito lo svolgersi delle tue Opere. Ricordo in particolare di aver presenziato all’inaugurazione dalla Casa “Maria Assunta” in Lucinasco nel 1960, ottenuta in maniera impensabile per vie provvidenziali. E’ stata una giornata commovente e luminosa, allietata dalle tue materne parole, col tuo intramontabile sorriso, espressione della tua evangelica bontà.
Ti avrei voluta sempre vicina, vicina alle mie figlie quando fossi venuta a mancare, invece tu mi hai preceduta. Ora, vecchia come sono, aspetto di raggiungerti. Tienimi un posticino nel tuo Paradiso. Ti raggiungerò quando Dio vorrà. II mio pensiero è costantemente con te. Grazie, Adele.

Mercedes Mariani Turrini, Socia C.O.F. dalla Fondazione, Il Tuo Contenuto Va Qui

Quello che mi è rimasto impresso della personalità di Adele Bonolis è una fede profonda, salda e incrollabile come una montagna di granito.
Avvicinandosi a Lei si sentiva il senso del sostegno, dell’appoggio, della sicurezza materiale, ma soprattutto spirituale. Quando in famiglia ci assillavano dubbi o incertezze, si diceva: “Sentiamo la Sig.na Bonolis” e si era sicuri che Lei ci rasserenava, ci chiariva facendoci vedere tutto più semplice e facile, mentre la sua forza e la sua sicurezza in Dio si trasmettevano in noi.
Ricordo i primi anni in cui la conobbi quando teneva i corsi per le assistenti delle colonie del CIF e poi quando diresse la colonia di Ossimo Superiore (1950).
Come era facile e bello vivere quella vita montana coi bambini sotto la sua guida!… Alla Messa la mattina ci faceva seguire con preghiere appropriate le varie parti, in forma semplice, di modo che la partecipazione dei ragazzi al Sacrificio Eucaristico sgorgava sincera dai loro cuori. Poi durante la giornata ci insegnava vari giuochi di gruppo e ci sorvegliava col suo occhio vigile anche se non sempre era presente in mezzo a noi. Se c’erano dei problemi da risolvere per qualche bambino la sua sicurezza appianava sempre tutto.
La sera sapeva organizzare e intrattenere l’intera colonia con canti e scenette o altro con una fantasia meravigliosa che incantava anche noi adulti. Quante canzoni ho imparato quell’estate con Lei!
Un’altra esperienza vissuta con Adele Bonolis fu quando collaborai nella casa di Onno, prima sede della C.O.F. Prendevamo insieme il treno per Canzo e poi su con la corriera per Valbrona per scendere sulle rive del lago di Como a Onno. Lì, una bella villa ospitava le prime donne della C.O.F.
Io collaboravo con lezioni di matematica e scienze a quelle ospiti che aspiravano ad un diploma. Per le ospiti era un giorno particolare quello in cui arrivava Adele Bonolis, perché si sentivano protette, controllate e rassicurate in tutte le loro debolezze.
A volte io mi fermavo qualche giorno mentre la dott.ssa Bonolis ripartiva in giornata lasciando una specie di vuoto.
Mi è rimasto molto impresso il giorno in cui ci siamo ritrovate a Lucinasco per una ricorrenza. Le parole dette da Adele Bonolis esprimevano la vita e la condizione delle ospiti della Casa ed anche la bontà e la dedizione delle ospitanti, in forma tanto profonda e convincente che mi hanno toccato il cuore e mi hanno commossa.
In occasione del funerale di mio padre Adele Bonolis con la sua amica ci ha accompagnato fino a Trento per la sepoltura.
Questa vicinanza esprimeva non solo il conforto col suo esempio di incrollabile fede ma ci ha dato la dimostrazione di una sicura vita eterna e di risurrezione beata per il nostro caro che ci aveva fatto stare tanto in pena negli anni passati per la sua poca partecipazione alla vita religiosa poi risolta con un avvicinamento ai sacramenti.
Sempre viva sarà in me la gratitudine per questa dedizione di amicizia e di bontà in un momento del tutto particolare della nostra esistenza.

Prof. Elena Mariani, Insegnante Scuole Medie, MOLTEPLICI ESPERIENZE DI VITA

Ricordare Adele Bonolis quale fu e come visse, è come sentirsi sempre in lotta con se stessi. Non si può dimenticare che Dio le aveva elargito dei “carismi” riservati ad anime particolari, doni che ella ha usato nella misura in cui le erano stati donati. La conobbi nel 1951, anno in cui anch’io incominciai a camminare nel campo apostolico. Fui presentata a lei da una mia carissima amica, in casa sua. Ricordo il suo sguardo penetrante e il suo aspetto dolce e semplice che riflettevano dall’interno tanta carica spirituale. Mi sentii come un misero passerotto, una nonnulla nei suoi confronti. Allora ospitavo a Milano persone dallo stampo molto amato e molto vicino al cuore della cara dottoressa. Ad ogni incontro con lei provavo una specie di vergogna per la mia ignoranza e per la mia povera persona priva di ogni esperienza umana. Quanta strada avrei dovuto ancor percorrere! Passarono così circa 12 anni. A seguito di disguidi personali nella casa dove lavoravo mi recai da Adele, le chiesi se lei riteneva possibile una collaborazione nelle “sue Case”. “Venga” – mi disse – “son dieci anni che l’aspetto!”. Non mi feci attendere, mi presentai, vi rimasi e ci sono tuttora. Ad ogni incontro ella mi dava coraggio, la sua fede era invincibile, superava qualunque ostacolo, chiedeva e otteneva, dava e riceveva. Ciò che mi colpì in lei era, oltre alla dolcezza, una sicurezza che diventava comando, evidenziante la sua “statura” e la sua “quadratura” su cui ci si poteva appoggiare totalmente per qualsiasi necessità. Ricordo di una lotta tra ospiti: ci fu una intromissione da parte del personale in cui si invitava ed esortava le ospiti a “lasciare la Casa” se la scena si fosse ripetuta. Ci chiamò e ci disse: “Ricordatevi che la Casa non è vostra: è stata allestita per loro. Voi siete qui per servire”. Ci fu una reazione interiore che durò in me alcuni giorni, ma capii che aveva ragione. La mia era una “chiamata”, la loro una “speranza”. Sulla dottoressa Bonolis ci sarebbe tanto da ricordare e raccontare: basta tener presente la sua fede viva in Dio, unita alla carità più squisita per l’umanità dolorante, per fare di lei una donna eccezionale. Se noi che continuiamo a dedicarci  a questa “Opera”, scaturita dal suo grande cuore (e non lo dico solo per me), a qualunque scalino sociale a cui le persone appartengono, se tutte capissero quanto ha fatto e quanto avrebbe continuato a donare generosamente, se la morte non l’avesse colta, forse qualcuna non si sarebbe dispersa come pecora lontana dal pastore. Si prega, si lavora, ci si nutre, si vive, si cerca di volersi bene, si vorrebbe che “lei” fosse ancora qui con noi per sentirci ripetere come quando si stava poco bene: “Che vergogna, lei non può ammalarsi, coraggio!”. Queste parole erano come rugiada perché sentivamo che ci voleva bene tanto. Ora aspettiamo che lei ci dica: Aspetta, lascia che arrivi un pezzo di ricambio nuovo per l’umana vecchia macchina e poi… facciano un po’ gli altri e tu aspetta di venire nella pace del mio Dio”.

SON DIECI ANNI CHE L'ASPETTO

Alcuni anni sono trascorsi da quando abbiamo avuto la gioia di poter accogliere come nostra Ospite la carissima signorina Dott. Adele Bonolis; eppure il suo sorriso buono, la sua costante serenità, il suo spirito di preghiera soprattutto, non l’abbiamo mai potuto dimenticare. Era davvero un’anima contemplativa nell’azione, perché, avvicinandola, si sentiva una persona innamorata di Dio.
II suo abbandono totale in Dio, la sua immensa fiducia nella Divina Provvidenza, che, come diceva lei, non l’aveva mai delusa anche in momenti particolarmente gravi, era veramente frutto di una grande Fede e ardente amore di Dio. Meravigliosa la sua totale dedizione a bene dei fratelli, e ne sono una prova le opere da lei iniziate e costantemente seguite anche quando il suo fisico richiedeva cure e riposo.
Ricordiamo l’incontro avuto dopo il suo soggiorno a Roma per il Congresso su “Evangelizzazione e Promozione umana” (30 ottobre – 4 novembre 1976). Con quanto fervore asseriva che se soltanto si è ripieni dello Spirito di Dio e del suo Amore si può far breccia sulle anime e dedicarsi alla promozione umana. Quante anime ha saputo portare a Cristo, lei, così spiritualmente grande e sinceramente umile.
Dal Cielo, ove certamente gode della immensità e santità di Dio, guardi e protegga le sue opere che hanno ancora tanto bisogno di lei, del suo aiuto; ed ottenga dal Signore anime generose che dietro la scia luminosa da lei lasciata, ripiene dello Spirito di Cristo, sappiano donarsi a bene di tanti fratelli bisognosi di luce, di amore e di pace!

Ancelle della Carità di Salsomaggiore, OSPITE STRAORDINARIA

Ho raccolto con piacere e con perplessità l’invito a parlare di Adele rievocando i miei ricordi di scolara. La perplessità nasce dal fatto che “molta acqua è passata sotto i ponti”. Si tratta di rispolverare ricordi risalenti a trentacinque anni fa (che abisso!).
Che cosa resta? Brani, brandelli di memorie, che forse, però, conservano una loro luminosità proprio perché la persona cui sono legati era – ed è – rivestita di luce.
Di Adele ricordo, senza dubbio, l’ascendente che esercitava su di noi scolare. Penso che con lei l’ora settimanale di Religione, pur soffocata da intense e lunghe lezioni di greco, di latino, non fosse assolutamente un’ora “di serie B”. Per noi adolescenti alle soglie degli anni Cinquanta, tutte femmine di quattordici-quindici anni, prima dell’evento della televisione e poco dopo gli anni convulsi della Seconda Guerra Mondiale la parola di Adele Bonolis era un messaggio pacato, offerto senza eccessive confidenze, ma con molto rispetto per la nostra umanità in crescita, con serena fermezza. Di Adele ricordo l’equilibrio: non alzava mai la voce: schioccava ritmicamente, caratteristicamente, brevemente le dita per richiamare l’attenzione, qualora fosse necessario. Forse sorrideva raramente, ma quel caro sorriso era molto aperto.
Ricordo anche l’estrema consapevolezza con cui la nostra insegnante ci inculcava il senso della dignità della donna, illustrandoci i vari aspetti della missione, della vocazione femminile (nel senso ampio del termine), della verginità vissuta in armonia di corpo e di spirito.
Erano i tempi in cui qualcuna di noi già cominciava a sapere che Adele dedicava la sua opera alla riabilitazione di donne meno forti, meno fortunate… Adele aveva in odio il peccato e cercava di ispirare anche in noi l’avversione all’offesa nei confronti di Dio. In particolare, nutriva orrore per la bestemmia e raccontava la storia di un certo Vincenzo, un uomo sventurato e bestemmiatore che abitava vicino a lei, bambina di quattro anni. Ma non era troppo tenera neppure (allora!) nei confronti delle trasgressioni del venerdì o di altre norme di vita che oggi la gente guarda chiudendo un occhio e mezzo…
Un’azione molteplice, la sua: mostrare le caratteristiche di un carattere e di un temperamento in formazione sulle vie del bene, inducendo ad evitare il male con la condanna del peccato, ma non del peccatore.
Un’azione commista di religiosità vissuta, di morale, con elementi di filosofia e di teologia filtrati dalla sua parola chiara, senza ombra di bigottismo.
Ad una vecchia compagna, tempo fa, ho chiesto che cosa ricordasse di lei, e mi sono sentita rispondere: “La ricordo come una cristiana veramente squisita”. E questo mi pare molto significativo.

Prof. Annamaria Girolami, NEL CAMPO DELLA SCUOLA

Come ho conosciuto Adele Bonolis? Per caso – potrei rispondere – ma sono credente e dico: “Perché il Signore voleva che io imparassi da lei il profondo significato della parola Carità”.
Andò così. L’Abate di S. Ambrogio desiderava offrire ai parrocchiani in difficoltà un aiuto nel disbrigo di pratiche burocratiche, un servizio alla gente con problemi di varia natura.
Per questo mi offrì un piccolo spazio nell’anticamera della Sala Capitolare dove si avviò quello che doveva diventare, per suggerimento del Cardinale Colombo, il “Centro d’ascolto”.
Fu qui che un giorno si presentò un uomo. Era analfabeta e chiedeva aiuto per capire qualcosa della pratica di separazione legale intentata da sua moglie. Da quei documenti appresi una terribile storia. Quell’uomo si era macchiato di un grave reato: aveva abusato di una delle sue figlie. Ammutolita sentivo il volto diventare di fiamma e lo stomaco in rivolta per l’orrore e lo schifo. Non dissi nulla, gli consigliai di rivolgersi ad un legale e quando, congedandosi, mi allungò la mano, io ritrassi la mia.
L’uomo tornò. Mi pregava per lui una domanda al Tribunale per ottenere il gratuito patrocinio. Per sapere come redigere questa istanza, mi rivolsi alla Sig.na Bonolis e le raccontai con tanta vergogna il fatto e le conseguenze che la conoscenza di questo avevano prodotto dentro e fuori di me.
Ascoltò in silenzio ed infine con la sua voce ferma, sicura e rassicurante mi disse: “Ma lo sa che Dio non ha schifo di quell’anima? Con quale diritto lei pensa di poter nutrire i sentimenti di giudizio e di condanna? Non ha mai sentito parlare di Misericordia e di Amore?”. La guardai sbigottita e scoppiai in lacrime.
Molti hanno in seguito i colloqui, perché con Adele Bonolis il 19 marzo del 1979 iniziai il mio servizio al Centro d’Ascolto.
Da lei ho imparato ad amare anche quell’uomo come un fratello, a pregare per lui, ad aiutarlo a risollevarsi, a riportarlo a Dio.
Non ho mai più giudicato gli errori del mio prossimo, che veniva regolarmente a chiedere aiuto, non mi sono più sbigottita ascoltando miserie morali di ogni genere.
So che il Cristo è venuto a redimere tutti gli uomini e quando mi sento nascere dentro la ribellione, risento subito, tranquillizzanti, le parole di Adele Bonolis: “Non ha mai sentito parlare di Misericordia e di Amore di Dio per noi uomini redenti ma sempre da redimere perché peccatori?”.
Questo il fatto al quale aggiungo una piccola considerazione che si traduce in un desiderio.
Questa umile donna, secondo me, va fatta conoscere quale maestra di vita, a prescindere dal giudizio che la Chiesa potrà dare circa la eroicità delle sue virtù. Ed oso esprimere un mio desiderio: vorrei che in tutti i centri di ascoltò, nei centri di accoglienza per emarginati gravi, là dove la Carità è difficile, dove non gratifica e soltanto vuole, ci fosse una foto di Adele Bonolis.
A lei si può chiedere aiuto perché da Dio ci ottenga la serenità di giudizio, il senso della giustizia, ma soprattutto l’Amore.

Cesarina Giambra, Operatrice sociale in S. Ambrogio di Milano, IL SIGNORE VOLEVA CHE LA CONOSCESSI

Avevo sentito parlare di Adele Bonolis come di una persona amica di Giuseppina Achilli, quando frequentavo il gruppo di Azione Cattolica delle studenti all’Università Cattolica del Sacro Cuore, gruppo di cui Giuseppina era presidente.
Ne avevo sentito parlare come di una valente professoressa di filosofia che mio fratello aveva avuto al Liceo Classico di Sondrio, durante la seconda guerra mondiale.
Ne avevo sentito parlare come di una sapiente fondatrice di opere altamente umanitarie, rispondenti alle necessità del tempo.
Poi la conobbi personalmente, ma, così, come si può conoscere chiunque, senza nessun legame particolare di amicizia.
Più tardi, oramai anch’io laureata ed insegnante, ebbi la fortunata occasione di averla compagna di villeggiatura a Corteno nel Pensionato delle Suore Canossiane di Brescia. Così la vidi vivere la vita di ogni giorno: serena, gioiosa, arguta, capace di entusiasmarsi dinanzi alle bellezze della natura, come di rallegrarsi davanti ai piatti gustosi che la suora cuciniera preparava, come di cimentarsi con passione nelle partite serali a carte. Perché in realtà i santi sono fatti così: ogni cosa viene da Dio e di ogni cosa godono semplicemente, come fanciulli.
A Corteno, poi, la sentii anche parlare delle sue Opere, delle sue Case, delle sue straordinarie “avventure”. II suo dire era qualcosa che andava al di là dell’umano; quello che ci narrava con tanta semplicità e naturalezza sapeva di soprannaturale, di miracoloso, quasi di fiabesco, ma non era possibile non crederci.
Per natura non sono facile agli entusiasmi : la notizia di apparizioni miracolose, di particolari poteri attribuiti a determinate persone mi lasciano indifferente e scettica. Ma le parole dell’Adele producevano in me un qualcosa che non so definire: un misto di commozione, di ammirazione, di dolcezza, di meraviglia, di fiducia in Dio e negli uomini. E’ l’ascoltavo sempre con tanta gioia.
Ora accadde che alcuni anni fa venni a trovarmi in una situazione difficile e penosa: dovevo lasciare l’appartamento che occupavo, perché la proprietaria ne aveva bisogno per la figlia che si doveva sposare. Non più giovane e per di più sola, era dunque necessario che io lasciassi la cerchia di persone amiche che mi avevano circondata di tanto affetto e mi erano sempre state di valido aiuto nel bisogno, per andare a trasferirmi chissà dove, tra gente sconosciuta. II solo pensiero mi angosciava e mi terrorizzava. Mi venne allora l’idea di rivolgermi all’Adele, perché mi aiutasse, tramite le sue numerose conoscenze, a trovare un nuovo alloggio, possibilmente nella stessa zona, nelle vicinanze del palazzo che dovevo lasciare. Nessun risultato.
Poi l’Adele morì. Le varie occasioni che mi si presentarono in seguito come soluzioni abbastanza favorevoli al mio problema, fallirono l’una dopo l’altra. E intanto il tempo stringeva.
Un giorno, parlando con un’amica della mia angustia, fui da lei esortata a ricorrere all’Adele: “Non ti ha aiutata da viva: perché non ricorri a lei, adesso che certamente può fare di più?”, mi disse.
Accolsi l’invito e pregai l’Adele che mi ottenesse dal Signore, perché è Lui l’Onnipotente, e dalla Regina del Cielo, perché è Lei la Madonna delle Grazie, un appartamento secondo i miei desideri. Pazientai e sperai.
Ed ecco la conclusione: ora abito in un appartamento nello stesso palazzo, sulla stessa scala, della stessa area del precedente, al IV piano invece che al V!
In questo, che io chiamo “miracoloso”, l’Adele ha avuto certamente una gran parte. E ogni giorno, davanti alla sua foto, dalla quale sembra sorridermi con aria d’intesa, non prego per lei, ma prego lei per me.

Prof. Stanislaa Tropia, Insegnante Liceo Scentifico, UN PICCOLO, MA SIGNIFICATIVO EPISODIO

Le prime luci sul nostro incontro s’accendono nella lontana primavera del 1947. Non vedo che un azzurro radioso che si va liberando delle cupe nubi di un uragano di violenza durato troppo a lungo. E vedo due tralci fioriti che si piegano con amore sull’umana sofferenza.
Mio Marito – l’allora Giudice Istruttore Luigi Cànepa del Tribunale di Lecco – stava istituendo un Centro di Tutela Minorile e un giorno mi parlò con entusiasmo di due straordinarie Professoresse di filosofia l’una, di lettere l’altra, molto ansiose di “fare” subito tutto il bene possibile.
Erano giovani creature frementi, simili a colombe che stanno per liberarsi su una lunga lunga strada di cielo. II binomio Bonolis-Achilli era già inscindibile sin d’allora, quasi fosse destinato a denominare un’unica fiamma di dedizione per gli sperduti, i soli, i bisognosi d’aiuto.
Conobbi Adele e Giuseppina nelle riunioni successive e fui subito colpita da quella luce interiore che le illuminava, da quel loro ardire nell’affrontare subito la realtà spinosa, per mandarla e trapiantarla nella vita.
Ancora l’inflazione delle belle parole non allagava la società; né l’abuso di vani programmi stilati durante infinite ondate di sterili convegni, aveva corroso le radici della nostra fede. Noi lavoravamo strenuamente.
Dopo pochi mesi io – terminata la mia quotidiana attività d’Insegnante di ruolo – mi dedicavo, con seria preparazione, alla nuova Scuola d’Arte Femminile, istituita da Rosangela Wilhelm, per giovani lavoratrici che non avevano potuto continuare gli studi.
Adele Bonolis, Giuseppina Achilli e Isabella Zerbi apersero a Vezio, sopra Varenna del Lario, la Casa dei Ragazzi: non si trattava certo di angioletti dagli occhi limpidi e soavi sorrisi, ma di ragazzi piuttosto sfrenati e, a volte, violenti. II compito non era certo facile e i bisogni senza fine.
Io allora ero Assessore indipendente del Comune di Lecco, Nel Consiglio Comunale di quella prima amministrazione postbellica vi erano altre due donne: Maria Fiocchi e Maria Panzeri ved. Pozzoli. Tutte e tre – sebbene elette da correnti diverse – andavamo perfettamente d’accordo e ci sedevamo spesso accanto, nei seggi, cercando insieme le migliori soluzioni dei problemi che dovevamo affrontare. Gli uomini, più settari, più tifosi del proprio partito ci guardavano stupiti, con certi occhiacci di fuoco… che tuttavia non ci sgomentavano, né riuscivano a  disperdere la nostra preziosa solidarietà.
Un giorno tutte e tre ci recammo a visitare la Casa dei Ragazzi di Vezio: subito intuimmo le difficoltà, i gravi sacrifici, l’immensa corrente di bene che avvolgeva quel nido quasi a picco sul lago.
Adele Bonolis aveva iniziato a frequentare anche la Falcoltà di Medicina all’Università Statale di Milano: voleva studiare a fondo soprattutto la psichiatria per poter essere di maggior aiuto agli assistiti.
Come reggesse ai frequenti e lunghi viaggi, alla partecipazione attentissima alle lezioni, allo studio intenso di notte e sui treni, con la Direzione della Casa, è un mistero.
Ritornammo con un cuore colmo di fervore. I silenzi che di quando in quando isolavano le nostre anime, si allargavano attorno alla bellezza di quei gigli luminosi. Ognuna di noi per un attimo vide all’ombra di quei sublimi sacrifici l’arma che si dissolveva nelle mani di un criminale in fieri, il vizio che abortiva, una via di speranza che si spalancava davanti al debole, all’incerto. Vedevamo venir meno le lacrime del mondo. Ci guardavamo felici e ci comunicavamo i nostri progetti d’aiuto.
Alla prima riunione di Giunta, mi rivolsi al Sindaco Giuseppe Mauri, un gran galantuomo, un Socialista convinto. Parlai della Casa dei Ragazzi e della Bonolis. Sulle prime non ne volle sapere: era roba messa su dall’altra parte.
Non mi arresi. Volli insistere con amabile fermezza: “Mi creda: vada su, si renda conto e poi…, giudicherà!” conclusi con un radioso sorriso.
La successiva riunione mi chiamò: “Signora Bonazzi – mi disse – aveva ragione davvero. La ringrazio di aver insistito. Sono stato a Vezio. Ho visto. Abbisogna aiutarle: lo meritano. Quella Bonolis è una santa!”.
E sul suo viso di onesto laico anticlericale traspariva una tale luce di lealtà, di bontà, di gioia, che ancor oggi – dopo tanti anni – mi commuove, come un miracolo.

Enrica Bonazzi Cànepa, Insegnante in pensione, LE PRIME LUCI DI UN RICORDO

Parlare di Adele Bonolis mi riesce molto difficile, forse perché non mi rendo ancora conto della grazia particolare che ho avuto nel conoscere questa eccezionale figura di donna.
II primo incontro che ebbi con lei fu del tutto occasionale.
Anni fa, durante alcune giornate di studio organizzate dall’Azione Cattolica milanese, ci fu una conversazione fuori programma tenuta dalla Professoressa Giuseppina Achilli che, seppi poi, era la preziosa collaboratrice della Professoressa Adele Bonolis. In quella circostanza la Bonolis non disse nulla; parlò solo l’Achilli illustrando le opere da loro promosse, opere che genericamente potremmo chiamare di recupero integrale di persone in condizioni particolari di vita.
In altra occasione e sempre durante giornate di studio dell’A.C., ebbi occasione di avvicinare le due inseparabili amiche e l’impressione che ne ebbi fu che erano estremamente diverse tra loro: la Bonolis pacata e di poche parole, l’Achilli esuberante e di una incredibile resistenza nel discorrere. La Provvidenza aveva disposto che dall’amicizia di queste due donne, così diverse, nascessero e si sviluppassero alcune opere di notevole rilevanza sociale e delle quali altri, meglio di me, potranno illustrare gli scopi e i risultati.
L’incontro ebbe uno sviluppo impensato nel 1977. La mattina del 9 luglio di quell’anno stavo facendo l’appello di un gruppo di pellegrini che dovevo accompagnare a Lourdes in pullman e mi colpirono proprio i primi due nomi in ordine alfabetico. Achilli e Bonolis. Ricordai loro come avvennero i nostri primi incontri e fu così che, da quel tenue filo di una semplice conoscenza, nacque una sincera amicizia. Ho condotto parecchi pellegrinaggi a Lourdes, ma ricordo quel viaggio in modo particolare sia per i colloqui che ebbi con Adele e Giuseppina camminando, noi tre, per i vialetti del grande prato al di là del Gave, sia per la preziosa collaborazione che mi diedero, soprattutto coi canti, nell’animare il gruppo dei pellegrini che mi era stato affidato.
Seppi poi che la Bonolis aveva già subito un intervento chirurgico e probabilmente il pellegrinaggio a Lourdes doveva avere per lei un particolare significato.
Nel viaggio di ritorno ebbi la possibilità di conoscere ancora meglio Adele Bonolis e le sue opere: infatti la intervistai pubblicamente sulle sue attività; le risposte destarono interesse e ammirazione da parte di tutti i pellegrini.
Adele raccontò alcuni episodi, le difficoltà iniziali e tuttora esistenti e io ebbi la profonda convinzione della grande fiducia nella Provvidenza in cui Adele Bonolis confidava e che sapeva trasfondere in coloro che con lei collaboravano.
Questo abbandono alla volontà di Dio, la certezza di operare secondo il Suo disegno, per cui gli aiuti divini non sarebbero mancati, sono i tratti principali che ricordo di questa eccezionale donna.
Mi chiamò a far parte del Consiglio della C.O.F. Ebbi così modo di seguire più da vicino l’attività di una delle sue istituzioni.
L’avvicinai anche durante la sua malattia. Fui stupito quando mi disse, con tutta semplicità, che aveva un tumore all’intestino.
Ammirai il suo coraggio, frutto di una fede incrollabile, che la dolorosa fine non intaccò minimamente, anzi rese più limpida e consapevole.
Spesso si sente dire che i santi li abbiamo tra noi e non sappiamo riconoscerli. Le loro opere, il loro stesso comportamento talvolta ci sconcertano.
Adele Bonolis, a mio avviso, fu una donna semplice, che aveva un’anima sensibile; profondamente conoscitrice delle fragilità umanità alle quali, fedele alla sua intima vocazione, ha cercato in tutta la sua vita di portare un aiuto concreto e redentivo.

Alfonso De Gradi, Consigliare C.O.F. , ADELE: DONNA FEDELE ALLA SUA VOCAZIONE

II mio incontro con Adele Bonolis avvenne trentacinque anni fa in occasione della mia presa di servizio in un Ente di ispirazione cattolica che si presentava nuovo nel quadro storico della Società italiana che si stava configurando (CIF).
Era la prima volta che mi trovavo ad assumere un impegno di pubblica responsabilità, e mi sentivo impreparata e confusa nella mia insufficienza, nella mia ignoranza, e non avevo in me che il coraggio della fede, coraggio distaccato da qualsiasi ideale per bello e buono che fosse: coraggio della fede, e basta. Ci penso: era conseguente, necessario che incontrassi Adele Bonolis.
A Lei mi condusse Giuseppina Achilli, colei alla quale il Signore aveva consentito di maturare, in una perfetta amicizia, la propria esemplare crescita spirituale ed intellettuale. Non mi sono mai preparata ad incontri importanti, anche perché non si può sapere quando e quanto un incontro possa riuscire importante.
Mi sentivo vuota.
Della personalità di colei che avrei quel giorno incontrata avevo sentito dire cose interessanti: intelletto, carattere, temperamento, capacità di promuovere iniziative ed assumere compiti delicati in situazioni difficili per un contesto sociale ancora impreparato, ed una freschezza e limpidezza interiore di tutte le sue facoltà, orientate ad una assoluta, felice dedizione religiosa, fulcro costante del suo operare. Mi era stato perfino detto di lei quasi come in una “battuta” a proposito del suo adamantino coraggio: “può immergere le mani in acqua putrida e ritrarle candide come la neve”.
Ma io non avevo curiosità: mi sentivo vuota ed inquieta alla presenza di Adele Bonolis. Al suo primo parlare, avvertii che mi faceva intorno quasi un largo respiro di pacificazione, nella quale trovava distinzione, ordine e chiarezza ogni eventuale dispersione in banalità. Come ciò potesse avvenire, quasi subito, per un semplice incontro in uno studio piacevole, ben ordinato in graziosa semplicità, dove ero venuta senza un preciso proposito, senza aver nulla di programmato né da dire, né da fare, né da chiedere è sorprendente.
In seguito, riflettendo fin dove e possibile e considerando quanto avevo ricevuto da lei, e continuavo a ricevere, mi ritrovavo al ripetersi di questa esperienza, questa straordinaria situazione: il colloquio con Adele acquistava sempre una pacata chiarezza, il discorso si decantava in parole trasparenti, mai appesantite dalla inutilità o banalizzate da fatuità. Quel che diceva era essenziale, era necessario, era esauriente e non mai povero.
La sua parola era consolante, la sua presenza rassicurante.
Con lei non si mentiva: credo proprio che nessuno mai sia riuscito a mentire. Non già perché lei facesse violenza a segreti nascondimenti, ma perché nel rapporto con lei cadeva qualsiasi necessità o tentazione o vizio di menzogna. Si sentiva che lei poteva reggere a qualunque verità. Donde le veniva tale forza?
Semplicemente dalla carità, una carità impavida.
Nel colloquio con Adele si può dire che lo spirito trovava chiarezza, il cuore appagamento, quiete.
Quante e quali le situazioni, i problemi che le si proponevano, spesso le si imponevano! Situazioni talvolta arruffate da risentimenti, confusioni, malintesi, amarezze, insofferenze, meschinità, e problemi che pazientemente lei dipanava e portava sul piano di un esame accessibile alla ragione e conclusivo al meglio.
E possiamo dire, per esperienza, che mai un problema propostole veniva da lei eluso, una situazione disattesa in termini sbrigativi di ottimismo o di pessimismo, ma che ogni cosa veniva disposta con ordine di concretezza, di ragione e fiducia in Dio – Bene assoluto -, nostro unico possibile cammino di verità.
Aveva, dunque, Adele il dono del consiglio? Non direi, secondo l’accezione comune della parola, cioè di risposta fiduciaria e risolutiva a carenze di capacità decisionali, o all’acquietamento di dubbi e timori, quindi assunti da una responsabilizzazione personale del più forte. No, si trattava di un processo diverso: Adele induceva la perplessità, i timori, le incertezze ad una riflessione in cui lei stessa senza priorità di giudizio, impegnava l’intelligenza ed il cuore a scoprire, in un ordine superiore, il bene ed il buono, così che il giudizio, la scelta, emergesse con naturalezza consequenziale, come consentita dalla luce caritatevole del Signore. In questa considerazione io penso che si possa attingere ad una pienezza del dono propriamente sacro, che è terzo nell’ordine posto dal Paraclito (dono meritato e corrisposto con religiosa dedicazione fin negli ultimissimi giorni della sua mortale malattia, quando ci ascoltava e ci parlava dal suo letto).
Adele Bonolis sarà molto ricordata per le “Opere” delle quali io, qui, tacerò, anche perché ampiamente testimonianze dalla loro evidente validità. Le “Opere” sono del tempo e della storia, segni consolanti, impronte valide di una umanità che, malgrado tutto, in un difficile secolare cammino, pazientemente cerca di migliorarsi. Ma donde viene l’ineffabile mistero che fa miracolo? Quell’ineffabile assoluto che accende, qui e là, inestinguibili fuochi di Santità?
II passaggio di Adele tra noi, quaggiù, il suo camminare con noi è concluso. Ma quante di noi, la sera si raccolgono davanti al Signore, e come me, deposto il fardello della giornata, mormorano il nome di lei, nel discorso- preghiera, con inesprimibile certezza che a lei sia consentito, a lei che ci ha aiutato a vivere, di continuarci il suo aiuto nel nome di Gesù e di Maria.

Emilrina Garavaglia, ex Presidente Provinciale CIF Milano eConsigliera nelle Opere, IL DONO DEL CONSIGLIO

Novembre 1943: una casetta bianca e verde lungo una stradicciola che in città come Sondrio, in quegli anni, poteva sembrare un po’ isolata pur essendo vicina al centro abitato. Un piccolo appartamento lindo e accogliente. Ci abitano Adele e Giuseppina, le colleghe a cui un’amica comune aveva indirizzato me per eventuali informazioni, consigli, aiuti, dovendo prendere dimora in quel luogo, a me sconosciuto per svolgersi il mio compito di insegnante. La prima impressione al primo incontro: stupore e ammirazione, Adele è costretta a letto per un fatto pleurico che le causa tosse e febbriciattola.
II medico consiglia riposo. Ma altrove c’è il padre di Adele, piuttosto vecchio, bisognoso di quelle amorevoli cure a cui la figlia lo ha abituato da sempre. Adele si alza e parte con il sorriso che, trattenuto sulle labbra, rispunta dal fondo degli occhi fino ad illuminarli di una luce birichina e sapida. Lei sa che, superando il suo personale disagio e malessere per correre in aiuto del padre, la provvidenza di Dio interviene a suo favore… Non è sfida: è fiducia.
In seguito per tutto la durata della mia vita a Sondrio l’ammirazione per Adele si alimenta di sempre nuovi motivi anche di gratitudine personale per il calore offertomi da un’amicizia così recente e già così radicata nella reciproca volontà di bene a conforto delle preoccupazioni, angosce, fame, di quegli anni bui proprio quegli anni in cui germogliò in Adele e nella sua perfetta collaboratrice l’ansia di qualcosa di nuovo, di grande, di insolito a favore della umanità più sofferente: ragazzi soli, donne sventurate, uomini usciti dal carcere e miseria di ogni genere. Quindi, col dilatarsi degli orizzonti ideali, crebbe l’entusiasmo del poter raggiungere con l’amore di Cristo chiunque fosse vittima di un male attribuibile alla ingiusta o indifferente convivenza umana.
Ed ecco sorgere ad una ad una le Case private sviluppate, sostenute con il coraggio e l’audacia di chi non cedette a nessuna opposizione, a nessuna difficoltà pur di dare la solidità stabile e il riconoscimento ufficiale al frutto dei suoi sacrifici. “Le Case” sono la testimonianza viva, incessante della straordinaria capacità di iniziative, spiritualmente sorrette dalla incrollabile fede nella Provvidenza, che interviene proprio nel momento in cui l’uomo ha esaurito tutte le sue possibilità di azione.
Finita la guerra, ognuno ritorna alla sua dimora abituale.
Non ho molte possibilità di rivedere Adele ma ne seguo, pur da lontano, la prodigiosa dinamicità operativa a favore dei più miseri, con sempre nuovo stupore. So infatti che alla instancabilità del suo donarsi non corrisponde più la integrità della salute.
Una creatura così privilegiata non può sfuggire alle dolorose esperienze patologie.
La rivedo nel letto di una clinica. Intervento chirurgico, degenza, terapie dolorose. Forse dagli occhi di Adele è scomparso la luce del sorriso filtrato dalle palpebre socchiuse? No, assolutamente. Lei vive la sua fede mantenendo serenità e capacità di gioia nei momenti più gravi. Sembra che veramente affronti ogni evento captandone, attraverso la realtà visibile nel tempo, il valore beatifico della vita senza fine. Così sta consumandosi il suo sacrificio occultato dall’apparente continuità delle normali occupazioni . Ma la malattia divampa interiormente.
Di nuovo Adele è costretta alla stasi sul letto che diventerà, per breve periodo, il centro di una fitta rete di intense preghiere e di accorate partecipazioni. Poi i suoi occhi si chiudono nel coma precedente, quello che sembra il sonno eterno di un corpo inanimato. Per Adele io non posso immaginare il mistero del passaggio all’altra vita se non come uno sprigionarsi dalla materia corporea di tutta la luce dell’anima, spirito gioioso nella gloria di Dio, voce, ancora più melodiosamente modulata in accordo con i cori angelici, che cantano senza fine le lodi di Dio, presente quindi sempre con noi dovunque si elevi in canto la nostra preghiera.

Insegnante di Liceo Classico in pensione, INCONTRO PROVVIDENZIALE

Conobbi Adele Bonolis negli anni lontani della mia adolescenza, nell’Associazione Gioventù femminile di Azione Cattolica, nella Parrocchia di S. Ambrogio, di cui Adele fu Presidente.
Frequentandola, provavo per lei ammirazione e soggezione: la sua maturità, il suo sguardo limpido, l’equilibrio portavano al rispetto e alla fiducia. Aveva una grande apertura con tutti, una grande fede e tanta bontà.
Nel 1927 cambiai abitazione: non frequentai più S. Ambrogio, e, di conseguenza, vedevo saltuariamente Adele; ma l’averla conosciuta era un esserle vicino per sempre. Ricevevo ad intervalli notizie del suo lavoro apostolico e non avevo parole, tanto tutto mi sembrava spaventosamente grande e rischioso!
Mi spiace, ora che non è più tra noi, di non averla seguita più da vicino per tanti anni…Ma le vie di Dio sono misteriose!
Nell’anno 1979, in settembre, ricevetti un invito per visitare le Opere da Lei fondate. Questo desiderio era nel mio cuore da tanto tempo, ma non osavo chiedere. Partecipai alla visita e fu come una luce… Dopo poco tempo mi trovai a far parte del suo gruppo “Amicizia”. Alla mia osservazione: “Sono arrivata troppo tardi, Adele”, Ella con compiacenza rispose: “Non è mai troppo tardi!”.
Parlare di Lei non è facile: la sua personalità, la sua preparazione, la sua statura spirituale vanno oltre una valutazione umana.
Dotata di particolari carismi, con una grande fede, una forte volontà, un immenso amore per i fratelli tutti, ha affrontato, nonostante ostacoli d’ogni genere, situazioni molto difficili, complicate e senza apparenti soluzioni, con equilibrio e grande pazienza di ascolto, riuscendo ad arrivare al cuore più affaticato e disperato.
Una vita piena di preghiera contemplativa. Era al contempo una donna d’azione positiva: ha fatto cose straordinarie con semplicità. Correggeva senza mai umiliare, attenta ed intuitiva. II suo era un lavoro di cesello.
II suo ricordo è sempre più luminoso, la sua logica è presente nelle decisioni, le sue Opere vivono, le sue direttive sono di oggi, la sua carità continua, con dedizione e amore, verso i più umili, i più sofferenti, i non amati.
Adele sentiva molto l’amicizia e amava le amiche con attenzioni personali e sfumature di grande riguardo, pronta a partire, immediatamente, ad un richiamo per un conforto, una parola, una presenza silenziosa, carica d’amore comprensivo.

Elda Gandini Basile, Associazione ”Amicizia

Adele Bonolis è stata, secondo me, una creatura eccezionale: è bene quindi proporla all’ammirazione ed all’esempio di molti.
Ricordo di Lei alcuni episodi tutti collegati allo svolgersi delle Opere da Lei fondate e dai quali scaturiscono caratteristiche personali inconfondibili: la sua genialità, lo spirito di fede, l’immensa fiducia nella Provvidenza che le permetteva di racimolare i soldi necessari per la vitalità delle Case, l’ansia apostolica, la sua dedicata dedizione ai più bisognosi, senza distinzione.
Di “personale” ho solo un episodio, forse piccolo nella sua entità, se però si può chiamare “piccola” quella pace che, in quel momento ed altri successivi, mi seppe donare Adele Bonolis.
Si tratta di questo. Ero a Milano per uno dei soliti incontri mensili delle propagandiste di A.C. ed ero piuttosto inquieta per qualcosa che – a mio parere – non funzionava bene nell’Azione Cattolica. Ebbi l’inavvertenza di parlarne apertamente e fui rintuzzata in modo piuttosto duro. II fatto mi rese ancor fui rintuzzata in modo piuttosto duro. II fatto mi rese ancor più irascibile e pensai dentro di me: “Meglio tornare subito a Lecco perché anche qui non sono ammesse le giuste critiche, anche qui non si può dire la verità”.
Nessuna, anche fra quelle che, sapevo, la pensavano come me si era alzata a dire una parola in mio favore e nessuna, uscendo dalla seduta, mi fece un cenno.
Solo Adele Bonolis trovò modo di avvicinarmi, un istante, per dirmi: “Sono cose che bruciano, vero?” e, lesta, lesta, si allontanò. Quelle due parole di comprensione ebbero il potere di placarmi a fondo e rimasi consolata ed ammirata dalla psicologia, dal tatto, dalla bontà, dall’intuito di quella cara Creatura che sapeva con semplicità arrivare a tutti e a tutto.
L’episodio che, ripeto, può sembrare troppo semplice, per me fu molto importante anche perché ebbe un seguito quanto mai valido. Infatti, in altre situazioni consimili, andavo ripetendo a me stessa: “Sono cose che bruciano ed Adele lo capisce” e ritrovavo la forza necessaria per una ripresa serena.

Luigia Airoldi di Lecco, Propagandista G.F. e U.D. di Azione Cattolica, UN GESTO PICCOLO… MA EFFICACE

Ho conosciuto Adele Bonolis negli anni 50, in un corso estivo organizzato dall’Azione Cattolica di Milano, non ricordo dove.
Mi è apparsa come una donnina semplice, senza pretese e piuttosto restìa a mettersi in mostra. Come l’ho avvicinata mi sono accorta subito che sotto quell’umile apparenza c’era una ricchezza interiore tutta da scoprire.
Ci siamo ritrovate poi in altre occasioni, non molte per il vero, ma alla fine ci siamo comprese nel profondo, tanto da diventare amiche nel vero senso spirituale. Lei capiva me, e io intuivo lei. Qualche volta, specie negli ultimi anni, ci si trovava alla Messa in S. Ambrogio e poi l’accompagnavo nel suo ufficio in via Lanzone 18 dove Adele mi mise al corrente di alcune sue esperienze spirituali, ad alto livello, che mi lasciarono stupita ed ammirata.
Per me Adele fu una grande anima, sempre alla ricerca della Verità, desiderosa di conoscere sempre più Dio e l’uomo fatto per Dio. La sua missione di generoso servizio agli emarginati, penso sia stata un mezzo per lei per realizzare questa intima tensione verso Dio attraverso l’amore del prossimo.
E’ stata una autentica cristiana, al punto da abbracciare alla fine, volutamente, la croce per unirsi più intimamente con “Colui” che dirige le vicende umane anche conforme la maturità dell’uomo che è disposto a sperimentare ed accettare coscientemente la propria realtà spirituale. Questa è stata la maturità di Adele, pagata duramente negli anni, ma certamente ricompensata nella gloria eterna.

Laura Maschi, LA MIA CONOSCENZA DI ADELE BONOLIS

“La misura di amare è amare senza misura”. Questo motto Adele ce lo ripeteva spesso e tutta la sua vita è stata impostata su questo dare “senza misura” con una generosità, a volte, terribilmente onerosa per lei.
Parlare di Adele è per me molto difficile: aver perso un’amica come lei (ci sentivamo quotidianamente e questo per numerosi anni) è stato come perdere una parte viva di me stessa. Come dice Antonio nella sua orazione in morte di Cesare: “Una parte del mio cuore è scesa nella tomba con lui e devo aspettare che ritorni da me”; per questo mi sono decisa solo ora a parlare di lei.
Sono talmente tante le cose che vorrei dire che non so quali scegliere. Potrei parlare di quanto bene mi abbia fatto la sua vicinanza o come mi sia stata preziosa in momenti difficilissimi e dolorosi della mia vita, “momenti” che sono durati anni.
In quegli anni io ero diventata, più o meno ufficialmente, l’autista fissa di Adele tanto che, scherzando, lei diceva che mi ero meritata un berretto da autista ufficiale e che prima o poi me l’avrebbe regalato.
Ecco forse, proprio in questa veste di autista che la scorrazzava avanti e indietro, io potrei dare una testimonianza: quella della fatica fisica sopportata da Adele per far scorgere prima e seguire e sviluppare poi le sue opere e seguire, contemporaneamente, tutte le persone, anche estranee alle Opere, che si rivolgevano a lei per aiuto.
Non intendo qui parlare delle cose importanti che l’assillavano continuamente, dei problemi, cioè, delle scadenze dei pagamenti o dei grossi guai che le davano le opere, o della casa di Cibrone che, sul più bello dei lavori di adattamento e di restauro, era cascata giù come un castello di carta. Di questi problemi parleranno senz’altro meglio di me altre persone e con più competenza: io mi limiterò a parlare del suo correre a destra e a manca e del suo impegno, anche fisico, che spesso era al di sopra delle sue stesse possibilità.
Naturalmente visitava spesso le sue case, tutte quante, a volte anche due in una giornata. Non erano colloqui brevi o di poco conto, ma spesso stressanti e impegnativi tanto che ne usciva stremata, qualche volta pallida dalla stanchezza. Si sedeva in macchina e si vedeva che non ne poteva più, ma poco dopo si riprendeva e tornava ad avere il sopravvento l’umorismo e il senso del relativo che erano la sua salvezza. Raccontava qualcosa della sua fatica senza mai lamentarsene, anzi ringraziando Dio che le permetteva di farcela e dalle sue parole, a malapena, si intravvedeva quanto le doveva essere costato il superamento di questo o quello scoglio. Qualche volta mi riproponeva il problema che l’assillava come se fosse un indovinello e, quando le rispondevo che non vedevo soluzione, affermava che anche lei non la vedeva, ma che poi certamente la soluzione sarebbe venuta da sola: bastava lasciarla in mano a Dio. Credeva ciecamente nella Provvidenza e tutta la sua vita e le sue opere erano incentrate in questa sua fede assoluta nella Provvidenza. Qualche volta le sue Case la richiedevano d’urgenza. Ricordo, per esempio, che c’erano i bimbi del nido di Lucinasco in villeggiatura a Sori che era sorto un problema che richiedeva la sua presenza subito. Ebbene, partite al mattino presto, alle undici e mezza eravamo già di ritorno a Milano in via Lanzone per un altro appuntamento urgente. Io arrivata a casa mi riposavo, ma lei ricominciava subito da capo, prima ancora del pranzo di mezzogiorno ed era disponibile e serena come se avesse cominciato a lavorare in quel momento.
Si dice che Dio dà la forza in rapporto delle difficoltà che ci propone, ma certo l’Adele si caricava delle difficoltà di molte persone e il risolverle per tutti non deve essere stato certamente facile.
E la fatica, per chi le era vicino, era visibile. Bastava seguirla per una giornata a Milano o fuori per rendersene conto. Aveva una sveltezza incredibile nel risolvere i piccoli problemi e un acume eccezionale nel discernimento dei vari casi.
Per alcuni mesi fu anche tormentata, la povera Adele, da uno di quegli uomini che era solita aiutare. Questi era un violento e voleva sempre parlare con lei a dispetto di tutti: arrivava di giorno e di notte e suonava continuamente il campanello di casa o dell’ufficio e picchiava sull’uscio e combinava guai che, naturalmente, l’Adele cercava sempre di minimizzare perché, secondo lei, tutti avevano una loro giustificazione per il loro operato. Questo uomo arrivava a tenerla sveglia tutta la notte anche tramite il telefono, poi, quando Adele usciva al mattino, si vedeva l’amico alle calcagna che la seguiva ovunque. E il fastidioso atteggiamento durò a lungo. Fu però così colpito quest’uomo dall’intenso lavoro che Adele riusciva a svolgere in una giornata che lo confessò candidamente all’Adele e divenne, col tempo, un suo fervente ammiratore e smise di tormentarla. Lo ricordo perché l’Adele me lo raccontò ridendone molto.
Quando tornavamo in macchina dai vari giri di lavoro capitava qualche volta che arrivassimo nel giorno e nell’ora in cui l’amica Achilli riceveva a pianterreno gli uomini usciti dal carcere ai quali si dava un sussidio: una specie di “pronto intervento” (che funziona tuttora per due giorni alla settimana). Capitava sovente che Adele cercasse di sgattaiolare in casa senza essere vista perché altrimenti sarebbe stata presa d’assalto da tutti quelli che, come la vedevamo, avevamo subito qualcosa di “urgente” da segnalare. Qualche volta dovevamo alzare il cofano della macchina, qualche altra andavo avanti io come staffetta a stornare il pericolo mentre lei si infilava di corsa in casa. Non è che non volesse parlare con loro, anzi spesso lo faceva, ma lì, sulla strada, diventava un fatto troppo pubblico e di cattivo gusto.
Mi ricordo in particolare un uomo, uno di quelli che purtroppo era sempre mezzo ubriaco che purtroppo era sempre mezzo ubriaco che, come la avvistava da lontano si metteva a correre chiamandola “szia, szia” e le andava incontro come un bambino che ha rivisto la mamma: cosa da un lato molto commovente, dall’altro umoristica, dall’altro ancora imbarazzante soprattutto per i passanti che finivano per fermarsi anche loro a vedere cosa era successo e anche per il tempo prezioso che si finiva per perdere poiché anche quell’uomo, come gli altri che si mettevano in fila, cominciava a dire cose più o meno inventate o verosimili di cui era assai difficile trovare il filo conduttore: era solo il fatto di raccontarle ad Adele che riempiva tutti di gioia, e lei lo capiva e li stava a sentire e sorrideva con loro.
Adele lavorò sempre moltissimo e noi nel nostro piccolo cercavamo di imitarla. A proposito voglio ricordare un altro particolare interessante di lei nei confronti di tutte le persone che collaboravano alle sue opere. Era così convinta che si lavorasse tutti per amore di Dio che, quando qualcuna di noi si sentiva fiera di aver fatto qualcosa di buono e sperava in una sua parola di approvazione se non di complimento, lei diceva, sorridendo, che avremmo dovuto invece ringraziare lei che ci aveva data l’opportunità di compiere la buona azione per amore di Dio, cosa che magari, da sole e senza l’opportunità che lei ci aveva offerto, non avremmo mai fatto mancando così al bene più prezioso che è quello di aiutare il nostro prossimo.
Questa è stata Adele: donna eccezionale con ragionamenti eccezionali che finivamo però per assorbire e fare nostri.
Al suo funerale c’era uno di quegli uomini non sempre sobrii che in piedi, sconsolato, in via Lanzone guardava passare il corteo e diceva fra sé, ma a voce abbastanza alta perché tutti lo sentissimo: “Mi per mi me l’han masada. E mi su anche chi è sta… Ma la duveva no murì”; e c’era dolore vero, accorato, in questo suo discorso strampalato. Mi è sembrato il più bello e significativo commento alla sua morte, più bello persino delle nostre lacrime e sono certa che anche Adele l’avrà gradito e avrà sorriso dolcemente, come al solito.

Matilde Avenati-Bassi Cavedon, COME ADELE SI DONAVA A COLORO CHE LE CHIEDEVANO AIUTO “SENZA MISURA”

Ai tempi in cui, direttore del quotidiano dei cattolici ambrosiani “L’Italia” era il dottor Sante Maggi, nella “giornata del quotidiano” di una annualità venne Adele Bonolis nella mia Parrocchia nativa, Cedrate, a parlare dell’importanza del giornale. In un salone zeppo in ogni ordine di posti (oltre 300 persone) seppe tener desta l’attenzione per più di un’ora.
Rammento che quando la Mamma andò alla buona stampa a versare la quota dell’abbonamento (sì, perché Adele ci aveva convertite alla necessità di seguire ogni giorno il nostro giornale e non solo la domenica) si sentì dire: “Quella donna ha compiuto un miracolo: è il ventesimo abbonamento! Oltre all’aumento delle vendite domenicali”.
Passarono gli anni. Avevo dimenticato Adele Bonolis, anche se da quell’epoca sono rimasta fedele al quotidiano. II lavoro mi portò a Milano ed in seguito, ad abitarci, prima in Città e poi nell’hinterland (Romano Banco di Buccinasco). Nel frattempo, Mons. Manfredini, allora delegato arcivescovile per l’Azione Cattolica mi chiamava a reggere (1958) la sezione diocesana femminile della A.C.A.I. voluta dall’arcivescovo G.B. Montini.
E’ chiaro che le artigiane si trovano maggiormente tra le giovani. Ed eccomi, con gesto amabile di Amalia Tasso (allora presidente diocesana dell’UDACI) passare dalla GF alle DONNE e chiamata subito in Consiglio Diocesano e Vice nella Commissione Attività Sociali dalla quale trassi aiuto concreto e confortevole per un impegno ai primordi e tanto difficoltoso.
Così, mi ritrovai Giuseppina Achilli e Adele Bonolis e conobbi l’ASFRA e le altre Opere. Diedi subito entusiasta adesione perché nel frattempo mi era stato possibile ascoltare l’annuale relazione sulle Opere da parte di Adele. Una relazione non solo di quel che avevano fatto e non, ma i perché, talmente approfonditi, talmente profetici che mi fece pensare per molti mesi.
Che dico? Risento e ripenso ancora, dopo trent’anni!
Adele aveva la “cella interiore” ricolma e non poteva che donare a tutti coloro che incontrava.
Una cosa è certa: Adele non chiedeva, donava. Adele parlava chiaro. Entrava in profondità, mai petulante, priva di saccenteria, con bonarietà. Non ti imbarazzava, ti sentivi sempre a tuo agio.
Io, innamorata e figlia di Caterina da Siena, dolce ma decisa, ad un incontro credo a Villa Cagnola di Gazzada, ove mi gratificò nel volermi tutto il giorno accanto, mi sbottò di dirle: “Sei una Caterina da Siena del ‘900!”.
Se ne schemì con il suo sorriso aperto e penetrate e mi tese le mani, maternamente, nell’atto di correggere in qualcosa quello che definì “ardita similitudine”. Dovette troncare il discorso perché chiamata da una intercomunale con un “attendimi”. Ma la telefonata chilometrica non mi consentì di attendere. Purtroppo!
La rividi nella maestà del mistero della morte.
Che avrebbe voluto dirmi?
Attendo di sentirmelo dire in cielo, quando mi verrà incontro, con Madre Enrichetta Alfieri, con la mia Nonna, con parenti ed amiche. Sono convinta che prega per me, per la mia Mamma che da quattro anni e soprattutto, mentre scrivo queste righe, vive, con tanta serenità, la sofferenza di un male incurabile.
Lo stesso male che Adele ha sofferto, edificando tutti coloro che l’andarono a salutare prima della sua nascita al Cielo.

Elda Filiberti, LA “CELLA INTERIORE”

La conobbi negli anni giovanili, quando Adele Bonolis frequentava l’Oratorio femminile delle Suore Orsoline in via Lanzone a Milano. La Suora assistente vide subito in Lei la realizzatrice di quelle opere di bene, che con i meravigliosi doni ricevuti da Dio, avrebbe portato a compimento. Quante volte detta Suora educatrice si consigliava con Adele, giovanissima, riguardo alla formazione delle sue allieve!
Lascio ad altra penna la presentazione di questa anima grande, dalla fede luminosa, che sapeva comunicare a qualunque ceto di persone, insegnando loro come si vive cristianamente…
Qualcuno si chiederà: come seppe realizzare simili opere? …
II suo grande cuore, la sua profonda sensibilità, l’ardore apostolico che non la faceva menomamente dubitare dell’intervento della Provvidenza di fronte a qualsiasi difficoltà. In Lei ho sempre riscontrato la certezza assoluta che, ai suoi assistiti non sarebbe mai mancato nulla, perché soleva dire: “II Signore sa tutto! e ci penserà…”.
Per me l’incontro con Adele Bonolis fu sempre una grande festa. Oltre il dolore di una simile perdita per le sue opere, mi rimane il rimpianto di non averla goduta più a lungo nei nostri incontri, di non aver approfittato maggiormente della sua preziosa presenza (quando era nostra ospite al Mericianum), delle sue esortazioni così sagge, così profonde.
Continuerò a volerle bene con il ricordo in preghiera, affinché dal Cielo benedica le sue opere e l’”Amicizia”, nella quale vivono le sue più intime collaboratrici.

Suor Maria Giancarla, ARDORE APOSTOLICO

“La notizia che Adele Bonolis è stata dichiarata venerabile da papa Francesco è occasione preziosa per accorgersi di quanto bene è stata capace una donna originaria di questa nostra terra ambrosiana. Il decreto del Papa è un passo importante verso la beatificazione di Adele Bonolis, che potrà avvenire con il riconoscimento di un miracolo per sua intercessione. Ma ciò che sin da ora merita d’essere riconosciuto è quanto la sua intelligente premura ha saputo avviare, prendendosi cura di tante ragazze, incappate – ieri come oggi – in pesanti forme di disagio sociale. Con questa dedizione tenace, senza mai risparmiarsi, Adele Bonolis ha cercato anzitutto di “riabilitare l’amore”. E questo suo gesto abiterà per sempre nel cuore di Dio, mentre la nostra Chiesa ne fa grata memoria”.

Milano, 23 febbraio 2021

Mons. Mario Delpini, Arcivescovo di Milano
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