Venendo qui oggi da Reggio Emilia, avevo dentro di me due desideri. Il primo era quello di parlare a voi sul tema che mi è stato chiesto Cura di sé, cura degli altri. Il secondo era quello di potere celebrare questa messa e, per la prima volta nella mia vita, di potere di parlare in pubblico di Adele Bonolis.
Sono trascorsi quasi sessant’anni da quando ho potuto conoscerla. Tuttavia, posso dire davanti a Dio che la sua memoria non mi ha mai abbandonato.
Alle scuole medie ho avuto un certo numero di sacerdoti come insegnanti di religione.
Non me ne ricordo neppure uno, non ho mai imparato il loro nome. Non hanno segnato la mia vita. Per questo sono stato molto sorpreso quando, arrivato al liceo Berchet – una scuola laica, abitata da alcuni insegnanti e da molti studenti lontanissimi dalla Chiesa, taluni anche avversari – scoprii che l’ora di religione era un’ora significativa.
Per cinque anni è stato così: i primi due anni con Adele Bonolis, gli ultimi tre con don Luigi Giussani. I due anni in cui Adele Bonolis è stata la mia insegnante di religione sono stati gli unici in cui l’ho vista. Infatti prima non l’avevo mai conosciuta. Ne avevo però sentito parlare soprattutto da mia nonna, amica di una persona che le era vicina, Giuseppina Achilli, la fondatrice del Centro Italiano Femminile e di tante opere sociali.
Adele Bonolis era una persona di indubbia intelligenza e conoscenza dell’uomo. Non conoscevo la sua formazione. Rimasi molto colpito dal fatto che, soprattutto nel primo anno di scuola, ci introdusse in una vera e propria antropologia. Desiderava offrirci una visione precisa della grandezza dell’uomo, del suo corpo, della sua mente e della sua anima. Ricordo ancora adesso le pagine del mio quadernetto a quadretti con la spirale in cui prendevo nota delle sue lezioni. In particolare ho in mente quando, da fine psicologa, medico, filosofa e poi teologa, ci parlava dei tre livelli fondamentali dell’uomo
– corpo, anima e spirito -, della sua esperienza, della sua conoscenza e della sua vita.
Adele avvertiva già dentro di sé la visione negativa del corpo umano che sarebbe avvenuta successivamente, soprattutto attraverso la sessualità perversa.
Non sapevo che si occupava delle ragazze che vivevano della prostituzione e delle persone con malattie psichiatriche. Assieme alla conoscenza così profonda dei dinamismi della vita dell’uomo, mi colpì la sua “francescanità”, il suo essere una donna al seguito di san Francesco. Ci raccontava i suoi pellegrinaggi ad Assisi, ci parlava della bellezza di quella regione, della sua natura e della sua arte, del fatto che solo là sarebbe potuto nascere il Poverello e del fatto che lei si sentiva parte di quella storia.
Durante le lezioni di don Giussani, tutti stavamo in silenzio. Per una donna non era facile “tenere” una classe delle scuole superiori. Invece anche con Adele Bonolis invece c’era silenzio, ascolto, partecipazione. Durante le sue lezioni ho percepito che la vita cristiana aveva una grande dignità e che poteva competere con le scienze del mondo. Forse il cuore delle sue lezioni era che il cristianesimo è amico delle scienze dell’uomo, quelle
scienze che lei stava adottando per curare tante persone.
Finito il liceo, non ho più avuto occasione di vederla. Come ho già accennato, sentivo però parlare di lei attraverso l’Achilli.
Sono quindi felice di conoscere il cammino di Adele Bonolis verso gli altari. Avevo già sentito del suo processo di beatificazione da qualche articolo di Avvenire e da una rivista diocesana guidata da don Crivelli. Auspico che questo processo possa concludersi presto. Nel liceo Berchet, come ho detto molto laico, vivevamo un profondo clima di santità.
Oltre alla Bonolis c’era don Giussani; la mia insegnante di greco e latino era la sorella di Marcello Candia. Esistenze belle e significative che toccarono le vite di tanti di noi.